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 2016  febbraio 02 Martedì calendario

Adozioni, l’ultima parola è del giudice (che si è già espresso a favore anche senza legge)

Sulle unioni gay sono quasi tutti d’accordo, a destra e a sinistra, tanto che perfino un tradizionalista come Buttiglione sarebbe pronto a sottoscrivere questa legge se in ballo non fossero le adozioni. Ecco, appunto: lo scontro in Senato ormai riguarda solo ed esclusivamente la «stepchild adoption»: cioè l’art. 5 della proposta Cirinnà che estende alle coppie civilmente unite la possibilità di adottare il figlio del coniuge. Qui si andrà al muro contro muro, e l’urlo delle piazze ha reso ancora più distanti le posizioni.
L’aspetto davvero paradossale è che le adozioni gay in Italia esistono già. A regolarle non c’è ancora una legge della Repubblica, però i magistrati da tempo si regolano come se ci fosse. A Roma, per esempio, si contano una quindicina di sentenze del tribunale dove al partner (o alla partner) gay è stato consentito di adottare il figlio naturale dell’altro (o dell’altra). Queste sentenze non sono spuntate dal nulla. Hanno fatto leva sulla cosiddetta legge 184, che alla lettera b) dell’art. 44 permette di adottare il figlio del coniuge. I giudici hanno esteso la portata di questa norma alle coppie di fatto, giocando d’anticipo (come al solito) sul legislatore. Ma allora, a cosa servirebbe l’art. 5 della Cirinnà? A dare più certezza, perché quello che a Roma viene deciso in chiave pro-gay potrebbe essere contraddetto in un’altra parte d’Italia. Una volta introdotta la «stepchild adoption» si userebbe ovunque lo stesso metro.
Non c’è stata finora, a quanto risulta, alcuna preclusione dei magistrati nemmeno per i bimbi nati all’estero con la cosiddetta «gravidanza surrogata», altrimenti detta «utero in affitto». Da noi questa pratica è vietata, ma la consentono negli Usa, in Canada e in qualche altro Paese come l’India. L’Italia può condannare finché vuole, ma chi chiede di aumentare le pene sa perfettamente che sarebbero «grida» manzoniane. E d’altra parte, quando un genitore gay si presenta al confine con una creatura di cui risulta padre (con la madre ignota), nessuno arriva a sostenere che gli andrebbe sottratto il bambino. Troppo disumano e, soprattutto, troppo contrario all’interesse del minore. Gli avversari della «stepchild adoption» ne prendono atto. E accusano che, proprio per questo motivo si moltiplicheranno i casi di utero in affitto.
Va tuttavia sfatata una leggenda, secondo cui l’adozione sarebbe automatica e verrebbe concessa a semplice richiesta della coppia gay. I fautori della legge lo escludono con forza. L’ultima parola, spiegano, resterebbe al giudice. E se questo giudice non riscontrasse le condizioni adatte, potrebbe dire di no alla coppia gay. Insomma, nella versione finale del testo che verrà messa ai voti al Senato (corretta in base agli emendamenti del senatore Lumia) c’è lo stesso metro di giudizio che oggi viene adottato per le coppie etero. Il che induce qualche costituzionalista a storcere il naso, perché in questo modo l’istituto del matrimonio e quello delle unioni civili verrebbero a rassomigliarsi perfino troppo. Mentre la Consulta ha stabilito, nel 2010, che debbono restare ben distinti. Altrimenti tanto varrebbe fare le nozze gay, e buonanotte.