Corriere della Sera, 2 febbraio 2016
La Brexit è più lontana. È pronto l’accordo tra Gran Bretagna e Ue
Il ruolo dei «tecnici», gli sherpa che per conto di David Cameron stanno discutendo l’ipotesi di accordo con l’Unione Europea, è fra i più ardui. La strada per rinegoziare l’appartenenza britannica alla Ue senza toccare le fondamenta del castello è davvero strettissima. Però siamo al dunque.
La meta non è lontana se, come promesso, Donald Tusk, il presidente del Consiglio Europeo, divulgherà oggi il documento della «pace», possibile sia pure non certa perché occorrerà il visto politico al vertice dei 28 Paesi il 18 e 19 febbraio e ci sarà da aspettare l’esito del referendum che chiederà ai cittadini di pronunciarsi.
Brexit è un fantasma che si è agitato per tanto tempo e che ancora si agiterà. Ma fa meno paura. Gli scivoloni sono sempre dietro l’angolo. Però con buona volontà le parti si sono avvicinate. Innanzitutto sulla questione più delicata, quella della sospensione quadriennale del welfare per gli immigrati: Cameron avrebbe acconsentito al meccanismo del «freno d’emergenza» (il blocco dei contributi statali in presenza di stress nel bilancio della spesa sociale) ma ne avrebbe ottenuto l’attivazione immediata avendo dimostrato, numeri alla mano, che esiste la necessità di intervenire da subito e di non sottoporlo a infinite e complicate procedure burocratiche.
Restano altri tre nodi, gli stessi che Cameron evidenziò a novembre nella lettera ai partner europei. Vale a dire: l’opzione di uscita (per Londra) dalla clausola di una «integrazione ancora più stretta», il riconoscimento a certe condizioni del potere di «cartellino rosso» riservato ai parlamenti nazionali per le direttive comunitarie non gradite, infine il bilanciamento fra Paesi di area euro e i Paesi di area non euro in modo che gli interventi per eliminare gli squilibri fiscali e di bilancio dei primi non siano automaticamente applicati ai secondi.
Il lavoro degli sherpa pare che abbia prodotto risultati soddisfacenti anche su questi tre punti. Resta da capire la soluzione individuata sul principio di «protezione» per le capitali fuori dal vincolo valutario dell’euro che, secondo Londra, dovrebbero avere il diritto di convocare il Consiglio Europeo per discutere le misure da esse non condivise. Fino a qualche giorno fa il veto francese al riconoscimento di una sostanziale pari dignità valutaria all’interno dell’Unione era perentorio. Venerdì sera David Cameron e François Hollande ne hanno discusso al telefono e dalle barricate si è passato al confronto. Il negoziato è dunque alla sua fase conclusiva ma ciò non significa che sia da accantonare la prospettiva Brexit. I «tecnici» stanno preparando una bozza che sarà trasmessa ai 28 Paesi Ue e messa in agenda al prossimo Consiglio Europeo dove le parole dovranno trovare la definitiva consacrazione.
Ecco la ragione per cui i protagonisti della trattativa, pur mostrandosi ottimisti, ribadiscono che il percorso «è ancora lungo» e che le sorprese restano una variabile da tenere in considerazione. Ma se le tappe saranno rispettate David Cameron a fine febbraio convocherà il referendum per primavera o inizio estate (si sussurra il 23 giugno). E alla consultazione, una volta ottenuto il via libera dal Consiglio Europeo, il premier chiederà il sì all’Europa. Allora si aprirà un’altra partita. Cameron, da solo, è in grado di spostare l’ago della bilancia in modo netto e di indirizzare i sondaggi ballerini di oggi. Ma sarà costretto a guardarsi dal fuoco amico di oltre cento parlamentari conservatori che si muoveranno per la campagna a favore del no. Brexit forse è più lontana. Non seppellita.