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 2016  gennaio 31 Domenica calendario

Storia delle relazioni diplomatiche tra Vaticano e Cina

Isola di Sanciano, 3 dicembre 1552, poco dopo mezzanotte: in una capanna, vegliato da un amico cinese, padre Francesco Saverio, primo missionario gesuita, muore guardando a un paio di miglia il «Regno di Mezzo». Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, lo aveva inviato in Oriente nel 1540 e lui aveva capito che per diffondere il Vangelo bisognava ad ogni costo raggiungere quel Paese immenso per dimensioni, storia e cultura, arrivare al cuore dell’Asia: un sogno compiuto trent’anni più tardi da Matteo Ricci, il confratello che conquistò la stima dei cinesi scrivendo nella loro lingua il trattato Dell’amicizia e disegnando un mappamondo che, nel 1584, metteva al centro la Cina, non l’Europa. Bisogna partire da qui, per capire la portata del dialogo in corso tra due realtà millenarie. Il primo Papa gesuita della storia sa come Francesco Saverio che «il futuro della Chiesa è l’Asia» e la Cina ne è il centro, «se ci andrei? Domani!».
Non è stato facile arrivare fino a questo punto, come dimostrano le vicende degli ultimi sessant’anni, ed ora è il momento più delicato. Le persecuzioni e l’espulsione di vescovi e missionari risalgono agli anni Cinquanta, sotto il regime di Mao: la nascita dell’Ufficio per gli Affari Religiosi e della «Associazione patriottica» controllata dal Partito, nel ‘58 le prime due ordinazioni senza mandato episcopale, vescovi e sacerdoti arrestati. Eppure «la Santa sede non ha mai usato la parola “scisma”», ricordava poche settimane fa l’arcivescovo Claudio Maria Celli, uno dei massimo esperti di Cina in Vaticano. La diplomazia della Santa Sede non chiude mai la porta. Già allora vescovi «di regime» scrivevano in segreto al Papa. Le cose hanno iniziato a cambiare negli anni Ottanta, con le riforme di Deng Xiaoping. Riaprirono chiese, seminari e case religiose. E cominciarono pure le prime resistenze, sia nella burocrazia cinese sia in quella ecclesiastica. Anche nella Chiesa si sono confrontate un’anima più «agonistica», guidata dall’anziano cardinale Joseph Zen, ed una più dialogante. Chi proseguiva la polemica contro il regime e marcava la differenza con la «Chiesa ufficiale» e chi, come osserva l’arcivescovo Celli, insisteva sul fatto che «in Cina esiste una sola Chiesa cattolica con una comunità ufficiale ed una clandestina». Oggi i confini sono sfumati, e la Radio Vaticana diffonde ogni giorno in cinese le parole del Papa, senza censure.
Un punto di svolta è stata la lettera del 2007 nella quale Benedetto XVI si rivolgeva «a tutta la Chiesa che è in Cina» auspicando «un accordo con il governo» sulla nomina dei vescovi. Pietro Parolin, che con Francesco sarebbe divenuto Segretario di Stato, ebbe già allora un ruolo fondamentale e per due volte guidò trattative riservate a Pechino. Poi nel 2009 fu trasferito come nunzio in Venezuela. Allora i vescovi in comunione con Roma erano arrivati a 110 su 115. Dal 2010 ricominciarono le ordinazioni illegittime, quattro in tutto. Nel 2013 Francesco ha nominato il cardinale Parolin alla guida della diplomazia vaticana e le trattative sono riprese. Il resto è la telefonata del Papa al presidente cinese XI appena eletto, il permesso di attraversare lo spazio aereo della Cina nel volo di Francesco verso Seul, nel 2104, con relativo scambio di telegrammi, gli incontri tra delegazioni ed il consenso della Santa Sede ad una nomina episcopale, in autunno. La storia dirà se a Bergoglio toccherà la sorte di Francesco Saverio o di Ricci, ma l’accordo non è mai stato così vicino.