Libero, 1 febbraio 2016
Il Requiem di Mozart, tra polemiche e certezze
La dipartita di Mozart, morto a soli 35 anni, nel tempo si è rivelata una clamorosa esercitazione per ciarlatani. È stata scritta ogni cosa, e una ricognizione puntuale è quasi impossibile. A peggiorare il quadro ha senz’altro contribuito il pregevole Amadeus di Milos Forman (1984) grazie al quale milioni di persone pensano che Mozart sia morto perché l’invidioso Antonio Salieri cospirò sino a commissionargli un requiem fatale che voleva spacciare per suo. Il film mostra un inquietante uomo mascherato che sprona Mozart a ultimare il Requiem e lo tormenta sino alla morte, sopraggiunta poi alla settima battuta del Lacrimosa: dietro questa maschera secondo la pellicola si celava appunto Salieri, compositore veneto alla corte degli Asburgo. Ma Milos Forman non ha fatto che rilanciare una tesi che nel primo Ottocento fu lanciata e rilanciata dal letterato Calisto Bassi e dal drammaturgo russo Alexandr Puskin.
Niente di vero, comunque. Antonio Salieri, per cominciare, ai suoi tempi fu molto più celebre e apprezzato del giovane collega: era il prediletto di Giuseppe II d’Asburgo e tra i suoi allievi ci furono Beethoven, Schubert e Liszt. Tra Salieri e Mozart ci fu senz’altro rivalità, tanto che si scambiarono persino delle accuse di plagio, ma ci fu anche comprovata amicizia. Secondo la tesi complottarda fu lo stesso Salieri a incolparsi della morte di Amadeus, e c’è del vero: ma accadde dopo il 1823, quando l’italiano era ormai demente e ricoverato in manicomio. La «confessione» generò comunque scompiglio e pettegolezzi, ma, popolino a parte, fu ritenuta inverosimile da tutti i musicisti dell’epoca che difesero Salieri anche pubblicamente. Di Mozart ebbe a occuparsi anche il celebre scrittore Stendhal (vero nome, Henry Beyle) che sui musicisti scrisse anche delle fesserie, ma molto evocative. Nel suo Vita di Mozart all’inizio dell’Ottocento descrisse un Amadeus deperito che ricevette la visita di «uno sconosciuto ben vestito, di modi nobilissimi, perfino un po’ imponente» il quale si faceva ambasciatore di «un uomo assai influente che non vuole svelare la sua identità» e che voleva commissionare una composizione per commemorare una persona scomparsa. Secondo Stendhal, il musicista accettò cento ducati come anticipo e poi si mise a lavorare come un pazzo sino ad allarmare Constanze con frasi terrificanti: «Questo Requiem sarà utile per il mio funerale... Costui (lo sconosciuto) non è un essere normale, appartiene a un altro mondo ed è stato inviato per annunciare la mia fine». Stendhal, tra invenzioni e realtà romanzate, racconta che Mozart terminò il suo Requiem: mentre invece, come detto, morì durante la composizione del Lacrimosa. A ultimare la Messa, vedremo, fu qualcun altro. Ma, domanda: se Mozart smise di comporre il Requiem solo alla settima battuta, cioè neanche a metà, chi compose tutto il resto?
Vediamo. L’uomo mascherato che gli commissionò il Requiem, per cominciare, esistette davvero: ma a parte il dettaglio che non era mascherato, si chiamava Anton Leitgeb ed era un servitore inviato da Franz von Walsegg-Stuppach, un conte vanesio che in effetti aveva incaricato Mozart affinché gli musicasse un requiem per l’anniversario della morte della moglie. Il messaggero portò con sé un anticipo sonante e una lettera anonima ma assai chiara: il conte chiedeva che la Messa potesse passare per sua, esattamente come il Salieri del film di Milos Forman. Non era la prima volta che il conte Walsegg-Stuppach faceva richieste di questo tipo ai più vari musicisti. Nulla impedisce che il servitore del conte, nella mente ormai ottenebrata del compositore, potesse aver assunto le sembianze di un messaggero di morte: in effetti Leitgeb era alto e allampanato – come chiunque al cospetto di Mozart, che era un metro e 52 – oltreché slavato, esangue, con le mani diafane, e vestito di scuro. Starsene a letto malati e ricevere visita da un tizio del genere, che ti chiede un lavoro del genere, potrebbe anche autorizzare una caduta dell’umore: soprattutto perché i progressi del Requiem si accompagnarono ai regressi della sua salute.
Mozart decise di mettersi a letto soltanto nel tardo novembre 1791, conciato ormai da buttare. Sul come e perché scriveremo un’altra volta. Restò tutt’altro che solo: lo assistettero Constanze con la sorella Sophie Haibel e con la madre, un paio di amici, Emanuel Schikaneder, il suo giovane ex allievo Franz Xaver Süssmayr e ancora altri conoscenti che andavano e venivano. Le testimonianze sugli ultimi giorni e sulle ultime ore di Mozart sono un vero tripudio di discordanze. Pare assodato che Constanze lo scongiurasse di abbandonare il Requiem e che lui lo accantonò prima di riprenderlo più volte. Quello che non è chiaro è sino a che punto si spinse: se sia vero, cioè, che cercò di proseguirlo sino all’estremo, canticchiando la parte di contralto e dando istruzioni a Süssmayr: è quanto ha sostenuto Sophie, la sorella di Constanze, versione contraddetta da altre fonti ma assai gradita ai biografi più romantici. Niente di strano se qualcuno avesse cercato di romanzare un epilogo più consolante di quello reale.
L’unica certezza è che la sera del 4 dicembre la febbre si fece alta, e il delirio senza ritorno. In termini surreali, l’ultima malattia di Mozart fu come tante altre che aveva avuto: solo che alla fine morì.
La morte, come visto, era sopraggiunta durante la composizione del Lacrimosa: Costanze rinvenne degli spartiti sulla scrivania del marito e diede incarico di riordinarli a Joseph Eybler e Franz Freistädler, altri due ex allievi di Mozart. Il Requiem fu poi concluso da Sussmayr, che compose gli ultimi tre brani e terminò il Lacrimosa dall’ottava battuta in avanti, strumentando tutto il resto con l’aiuto di vecchi appunti mozartiani. C’erano degli appunti, fine del mistero. Se anche non fossero stati proprio del Requiem – o di quel Requiem – erano comunque di Mozart: l’allievo fece comunque un buon lavoro, per quanto molti temi fossero già stati annunciati nella prima parte della Messa. L’opera fu terminata non certo per zelo sentimentale: Costanze voleva consegnarla al messaggero del conte Walsegg-Stuppach per incassare il saldo, anche perché la ricorrenza per cui era stato composto era incombente. In realtà il conte eseguì il «suo» Requiem solo nel 1794 e anni dopo si arrabbiò moltissimo quando l’opera fu pubblicata e la paternità rivelata.
Le polemiche sull’autenticità del Requiem proseguiranno comunque per decenni. La partitura, nell’Ottocento, verrà messa in stampa separando la parte attribuita a Mozart da quella rielaborata da Sussmayr: una «M» a fianco del materiale sicuramente mozartiano e una «S» per il resto. Il manoscritto originale oggi è conservato nella Biblioteca nazionale austriaca anche se ne manca un pezzetto, rubato durante l’Esposizione Universale di Bruxelles nel 1958. È uno dei pezzi più ricercati sul mercato nero dei collezionisti privati.
La Messa portò a Sussmayr fortuna e sfortuna al tempo stesso: l’anno dopo la morte di Mozart, nel 1792, divenne direttore d’orchestra al teatro nazionale di Vienna e secondo direttore al teatro della corte, ma morì nel 1803 a soli 37 anni, solo uno più di Amadeus.