Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 01 Lunedì calendario

Romina Boarini, l’economista che misura la felicità delle nazioni (che non dipende dai soldi)

C’è un’economista che non si occupa dell’inflazione ma del benessere, che non cita Keynes ma Aristotele, che non calcola il Pil ma la felicità. È un’italiana che vive a Parigi, lavora all’Ocse e ha creato il termometro del benessere nel mondo. Si chiama Romina Boarini ed è a capo del team statistico che ha stabilito quali sono i fattori che rendono un Paese più felice di un altro. Calcola il «Better Life Index», l’indice di benessere che dipende da undici variabili e determina la qualità della vita. Il Bli invece del Pil perché il prodotto interno lordo da solo non basta, serve che gli abitanti abbiano un «Bli» alto, che stiano bene, che siano felici. Parlare con Romina Boarini è fare il giro del mondo in poche ore. È aver voglia di scappare dall’Italia (che è al 23esimo posto su 36 Paesi valutati) per tornare bambini ed entrare in una scuola finlandese, poi crescere e trasferirsi in Islanda per avere la certezza di trovare lavoro (a Reykjavik e dintorni la disoccupazione è bassissima). Rasserenarsi all’idea di entrare, in caso di necessità, in un ospedale della Nuova Zelanda e, infine, sognare di volare negli Stati Uniti dove ci sono i portafogli più gonfi di qualsiasi altro Paese o ripiegare sulla più vicina Svizzera al secondo posto della classifica della ricchezza.
A proposito di reddito, ma i soldi fanno o no la felicità?
«Può sembrare una banalità, ma i soldi da soli non fanno la felicità».
E cos’altro serve?
«I contatti umani e le relazioni sociali».
Vuol dire che le amicizie sono più importanti dei soldi e di un buon lavoro?
«Non dico questo. Ma se sei ricco e non hai amici sei meno felice di chi magari ha molti amici e un po’ meno denaro. Calcolando il Better Life Index abbiamo scoperto che la capacità di fare rete, di tessere relazioni e coltivare rapporti di amicizia è considerata di grande importanza in tutti i Paesi. Percepire la possibilità di essere aiutati in caso di bisogno, sapere di poter contare su qualcuno, è uno degli elementi principali del benessere di una persona».
L’Italia come è messa con la felicità? A che punto siamo?
«Non benissimo. Nell’ultimo rapporto sul Better Life Index, che è di ottobre 2015, il reddito medio è diminuito negli ultimi quattro anni e la ripresa dalla crisi iniziata nel 2009 è molto più lenta che negli altri Paesi. Il tasso di disoccupazione è ancora altissimo. Le competenze dei quindicenni italiani sono inferiori a quelli della media Ocse. Ai primi posti ci sono i giapponesi e i coreani e ben altri ventidue Paesi Ocse. In Italia solo il 57% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni ha completato gli studi secondari superiori: una percentuale nettamente inferiore alla media pari al 75%. Va invece decisamente meglio il rapporto vita-lavoro».
Forse perché c’è poco lavoro...
«Lavorare troppo fa male».
Ma l’occupazione è uno degli undici indicatori di benessere...
«Sì, infatti non sto dicendo che non si debba lavorare. L’occupazione è fondamentale per il benessere. Ma ci sono numerosi studi scientifici che dimostrano come chi lavora più di cinquanta o sessanta ore a settimana corra maggiori rischi di ammalarsi di malattie cardiovascolari. Non solo. Un tempo di lavoro inferiore alle cinquanta ore ha ripercussioni positive sulla produttività e la creatività».
Si è più felici se si lavora meno?
«È meglio lavorare un po’ meno ma lavorare meglio. Oggi le persone legano il proprio benessere alla qualità del lavoro. Preferiscono dedicarsi ad altri aspetti della loro esistenza. Per essere felici molti chiedono anche maggiore libertà professionale. Soprattutto le donne, a parità di reddito, preferirebbero un lavoro più flessibile che dà maggiore autonomia. Questo non solo per poter gestire gli impegni familiari ma anche per dedicare tempo alle proprie passioni o agli amici».
Qual è il Paese più felice del mondo?
«L’Australia, se si considerano tutti gli undici indicatori del Better Life Index. Al secondo posto c’è la Svezia. Agli ultimi Messico, Turchia e Cile. L’Italia si trova nella seconda metà della classifica dopo la Repubblica Ceca e prima della Polonia».
L’Australia è la terra dei sogni?
«In realtà questo risultato si spiega facilmente. È un Paese giovane e quindi più dinamico, non ha la pesantezza burocratica che schiaccia l’Italia. In Australia chi vuole aprire un’attività può farlo facilmente, senza perdere tempo dietro infinite pratiche, timbri, visti e autorizzazioni come da noi. C’è una maggiore consapevolezza ambientale, la qualità dei servizi pubblici è eccellente...».
Nei vostri indicatori ci sono la salute, il reddito, l’occupazione, l’ambiente, l’istruzione, la sicurezza, le relazioni, l’equilibrio vita-lavoro, l’abitazione, l’impegno civile e la soddisfazione. Se lei dovesse scegliere solo tre di questi?
«Sceglierei sicuramente la salute. Poi l’occupazione e le relazioni sociali. I rapporti sociali danno benefici nella vita privata per le uscite, il cinema, le cene etc. ma anche per quella professionale. Se si vuole cambiare lavoro, per esempio, si può contare sulla propria rete di amicizie anche solo virtuali».
Ma per lei cos’è la felicità?
«Ho un’idea di felicità molto vicina a quella di Aristotele. La intendo come un cammino di crescita personale, un impegno con se stessi e con il resto dell’umanità per innalzare la nostra intelligenza a virtù».
La felicità come un viaggio: qual è il allora suo impegno?
«Imparare cose nuove e rispondere a un interrogativo personale, ad esempio: “Cosa conta di più nella mia vita?”, oppure una domanda di tipo sociale: “Come rendere felici gli altri?”».
Lei è un’economista o una filosofa? Come si diventa scienziati della felicità?
«Le cose succedono ma poi ti accorgi che in qualche modo le hai cercate. Ho sempre studiato l’economia attraverso il filtro della filosofia. Il mio progetto è ripensare un’economia che renda felici le persone».
Che cosa la sorprende di più di queste classifiche?
«Mi colpisce sempre quanto e come il luogo in cui si vive incida sul benessere. E come all’interno di uno stesso Paese, penso all’Italia, ci siano culture così diverse da influenzare il modo di vivere».
Ci faccia un esempio.
«Giapponesi e coreani sono meno soddisfatti di quanto dovrebbero. Mi spiego meglio: si trovano quasi sempre nella parte alta della classifica ma sono culturalmente poco propensi a manifestare i loro sentimenti. E in più non hanno lo stesso modo di tessere relazioni, la stessa idea dello stare insieme che è molto diffusa qui in Francia, per esempio».
Ma la misurazione della felicità serve a qualcosa di pratico? Quando la governance di un Paese scopre che i propri cittadini non sono soddisfatti che cosa fa?
«L’Ocse ha cominciato a calcolare l’indice di benessere nel 2011, ma finora questi dati hanno cambiato troppo poco le politiche dei singoli Paesi. L’obiettivo a cui stiamo lavorando è proprio questo: far sì che ai numeri seguano delle azioni dei governi per migliorare la qualità della vita».
Lei tornerebbe a vivere a vivere in Italia?
«Lavoro a Parigi...»
Se potesse scegliere dove andrebbe? In Australia?
«No, non andrei a vivere in Australia».
E dove?
«In uno dei Paesi del Nord. In Danimarca o in Svezia».
Perché proprio lì?
«Perché questi Paesi hanno sviluppato politiche del lavoro che favoriscono la flessibilità e l’autonomia. Il telelavoro, per esempio, è molto diffuso. Da quando ho avuto i miei figli, il tema della conciliazione tra lavoro e famiglia mi coinvolge molto e credo che in questi Paesi sia possibile trovare il giusto equilibrio».
Ma sono più felici le donne o gli uomini?
«Difficile dirlo in generale. In Italia sono più felici gli uomini, in Giappone le donne. Certamente le donne più felici vivono nei paesi nordici. Forse anche per questa ragione andrei a vivere lì».
Ma lei è felice?
«Sì, molto!».