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 2016  febbraio 01 Lunedì calendario

Letture per ipocondriaci e ossessionati dalla salute. Da Gadda a Marsh

Se la salute è il silenzio degli organi, è meglio non essere mai costretti ad ascoltare e a osservare quell’ammasso di polpe, tubi, umori e spugne di cui siamo fatti. Ma esiste tutta una letteratura delle interiora estranea alla scienza medica che si addentra nel paesaggio sconosciuto del corpo umano (“nient’altro che melma e putredine” per i padri della Chiesa), come fanno il bisturi e le tecniche endoscopiche. La salute (meglio: la malattia) è una delle ossessioni del mondo occidentale medicalizzato allo spasimo, così come il cibo è il feticcio delle società opulente: ecco allora i libri che assecondano le più morbose curiosità, romanzi, reportage, divertissements con protagonisti gli organi umani.
(S)consigliato agli ipocondriaci Primo non nuocere. Storie di vita, morte e neurochirurgia (Ponte alle Grazie), memoir perturbante del medico inglese Henry Marsh (capitoli: Pineocitoma, Aneurisma, Emangioblastoma, Tic douloureux, ecc.), una galleria di patologie, interventi, cinismi clinici attorno all’indicibile (“Ogni tumore cerebrale è diverso dall’altro. Alcuni sono duri come sassi, altri morbidi come gelatina. Alcuni sono completamente secchi, altri gonfi di sangue. Alcuni sgusciano fuori come piselli da un baccello, altri sono come aggrappati al cervello e ai vasi sanguigni”).
Come nell’iconografia fiamminga, dove le lezioni di anatomia riproducevano l’impianto teatrale delle scene di mercato e il corpo umano era simile a quello di pesci e fagiani esposti sui banchi, la scrittura produce uno choc trattando come normale e quotidiano l’oggetto più oscuro del nostro sapere, eppure l’unico che davvero ci interessa. Già in Anastomòsi (in Verso la Certosa, Adelphi) Carlo Emilio Gadda descrisse un intervento agli intestini a cui assistette. L’istinto numerizzante e catalogatorio di Gadda applicato a una materia tanto scabrosa produce un piacere estetico senza pari: “La piana superficie dell’epigastro appare nuda, a principiare dall’umbilico e insino all’affossatura sotto lo sterno… Ed ecco, al mezzo, il viscido rosa del peritoneo… la precisa lucidezza delle forbici a penetrare e a dividere quel foglio roseo, sieroso, teso e quasi inturgidito dalla pienezza de’ visceri che tuttora cela e contiene il violaceo dei vasi sanguigni, le loro suddivisioni e moltiplicazioni (…): che mi potrebbero atterrire se non sapessi”.
Tutt’altra prosa nel caso editoriale L’intestino felice di Giulia Enders (Sonzogno); e se Organi vitali di F. Gonzàles-Crussì (Adelphi) è una storia sociale degli organi magnifica, tra suoni di epitelii e gorgoglii di succhi “nella scura vastità dell’abisso intorbidato di limo” che in fondo siamo, il romanzo Riparare i viventi di Maylis de Kerangal (Feltrinelli), ne è l’epica: un trapianto di cuore sancisce il principio della interdipendenza dei vivi, come se la chirurgia realizzasse il sogno di Walter Benjamin di “ricomporre l’infranto”. “Profanando il buio segreto e l’intrinseco della persona” (Gadda), si scopre che siamo tutti uguali. In tempi di divisioni e disumanità, una buona occasione per riscoprire l’umano.