Corriere della Sera, 1 febbraio 2016
L’orfano fa bene alla letteratura. Una mostra al museo Foundling di Londra lo celebra
L’orfano appartiene alla stessa famiglia lessicale dell’orbo. Il bambino senza genitori è un po’ come un cieco, che procede a tentoni nel buio. Figurarsi se la letteratura, sin dalle sue origini, può non essere attratta da un personaggio così affascinante. Perché mettere in scena un giovane solo al mondo (o quasi) è mettere in scena un eroe o un’eroina dalle potenzialità straordinarie: lo sapevano bene i fratelli Grimm, che fecero di Cenerentola e di Biancaneve le vittime designate di matrigne perfide destinate a essere annientate dalla bontà delle figliastre. Il lieto fine delle fiabe è ancora più lieto se il trovatello solitario sconfigge, oltre ai cattivi, anche la propria infelicità di partenza, capovolgendola. Di genitori defunti e di figli lasciati al proprio destino è piena la letteratura per ragazzi: dall’Isola del tesoro a Harry Potter, è una condizione per rendere l’avventura dell’infanzia ancora più perigliosa, edificante e magari lacrimosa. Alzi la mano chi da piccolo non ha versato una lacrima su Senza famiglia e sui vagabondaggi del povero Rémi: «Sono un trovatello, ma fino agli otto anni ho creduto di avere anch’io una madre come tutti gli altri bambini perché, quando piangevo, c’era sempre una donna pronta a stringermi a sé, a cullarmi, fino a quando le lacrime non finivano di scorrere».
È Dickens l’inventore più geniale di orfani: basti pensare a David Copperfield, che perdendo il padre cade in balia del nuovo marito della madre, Murdstone, il quale non solo diventerà il suo persecutore ma provocherà la morte di lei. Grandi speranze si apre su una scena indimenticabile: il piccolo Pip sulla tomba dei genitori: «Siccome non vidi mai né mio padre né mia madre, e neppure un loro ritratto (essi vissero infatti molto prima dei tempi della fotografia), le mie prime fantasie sul loro aspetto derivarono irragionevolmente dalle loro lapidi». E se si dice orfanotrofio non si può non pensare a Oliver Twist: nato da una madre morente alla presenza di una povera vecchia il cui cervello era annebbiato dall’alcol. E poi James, Balzac, Hugo, Zola, Nievo, Verga (il padre di Rosso Malpelo è morto in miniera)... a ognuno il suo orfano. Fino alla Morante di Arturo, che un po’ come Oliver è nato da una madre morta nel darlo alla luce: ma crescerà con il latte di capra che gli procura il balio Silvestro. E fino a Calvino, il cui protagonista-partigiano Pin vive nel quartiere del porto con la sorella Rina, una prostituta detta La Nera. Per Cosimo, il barone rampante che si rifugia sugli alberi, l’orfanità è probabilmente un’aspirazione.
Dai senza famiglia, del resto, di solito viene il meglio: come dai tre «celestini» di Stefano Benni, Lucifero, Alì e Memorino, che fuggono dal brefotrofio per partecipare al Campionato Mondiale di Pallastrada, organizzato dal Grande Bastardo, protettore degli orfani di tutto il mondo. Meglio soli, a volte. È quel che pensa Memorino quando scopre di avere una madre assessore al Malessere Generale, che non l’ha riconosciuto per non compromettere la propria carriera politica.