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 2016  febbraio 01 Lunedì calendario

Il commento al campionato di Gianni Mura

Carta canta e campo pure. Napoli e Juve fanno la voce grossa, vincendo con quattro gol di scarto, e ingrassano classifica e autostima. Dicono chiaro e forte che lo scudetto è una questione fra loro, nettamente le migliori del mazzo, a maggior ragione dopo il crollo dell’Inter nel derby. Ora tutti guardano al 13 febbraio, giorno dello scontro diretto a Torino, ma non sarà determinante. Il duello continuerà a lungo. Già vincere con quattro gol di scarto non è frequente, in Italia, tanto più in partite non facili. Questo sembrava Chievo-Juve, che di fatto è stata un buon allenamento, non solo per le assenze nel Chievo ma per lo strapotere della Juve: due gol di Morata, come con l’Inter in Coppa Italia. Anche qui, come s’è fatto per Sarri e Higuain, bisogna dare atto ad Allegri di aver gestito bene presenze (e assenze) di Morata. Intanto, ha uguagliato il record di Conte, 12 vittorie consecutive, e pure questo non succede spesso. La sua sfuriata e lo spogliarello abbozzato con il Carpi hanno segnato la svolta: lunghe pause la Juve non se le concede più, è meno tarantolata di quella di Conte, ma come quella sa cosa vuole e come arrivarci, senza forzare i tempi.
Il Napoli di vittorie consecutive ne ha sei, nelle quali ha segnato 22 gol. Ha il miglior attacco e il miglior attaccante, Higuain, che marcia alla media di un gol a partita. Sarri, a differenza di Allegri, non ama le attese. La squadra parte a tutta e, con l’Empoli-rivelazione, si ritrova in svantaggio. La sofferenza dura poco, la reazione del Napoli è immediata e forte. E stavolta il genio della lampada è Insigne. Il tocco di destro per l’incornata di Higuain fa pensare a un padre che imbocca il figlio, sul seggiolone. Un qualcosa tra imboccata e imbeccata. Ed è ancora Insigne a calciare (alla Maradona ma di destro) la punizione del 2-1. Con 10 gol e 9 assist è già la sua stagione migliore. Conte ne terrà conto.
Tra quelli tornati al loro livello, Callejon: quello che corre di più, quello che segna poco ma c’è da capirlo: ieri due gol e un autogol, come si addice a un uomo-dovunque. Al terzo posto resiste con qualche affanno la Fiorentina. Dalla sfida al vertice è tagliata fuori l’Inter: il 3-0 nel derby la inchioda ai suoi limiti. Cinque punti nelle ultime sei partite: una crisi, più che un momentaccio. Risultato severo ma giusto. Il Milan dal suo ormai collaudato 4-4-2 ha cavato il massimo. La svolta è nel rigore che Icardi, appena entrato, ha conquistato e fallito, centrando il palo. Il Milan era avanti 1-0, gol di testa di Alex, primo gol di testa subito in campionato dall’Inter. Sono segnali. Anche Mancini ne ha mandati, in quantità. Eder, arrivato a Milano venerdì, subito in campo. Icardi in panchina, non si sa perché. Fiducia in Jovetic, non si sa perché. Il tracollo Mancini non l’ha visto dalla panchina perché espulso per proteste: non era rigore quello di Donnarumma ma una paperaccia del medesimo (converrà diminuire le sviolinate). In più, Mancini ha rispolverato Santon come terzino destro e varato una squadra in apparenza molto offensiva: Ljajic e Perisic esterni alle spalle di Eder e Jovetic. In pratica meno: dopo un avvio arrembante il gioco dell’Inter è finito nel solito imbuto, gli artisti erano senza pennello, mentre il Milan cresceva a centrocampo. Montolivo e Kucka due colossi rispetto a Brozovic e Medel, sui lati Bonaventura e soprattutto Honda ben più incisivi dei pari ruolo slavi.
Inutile un pareggio, fin da subito si è giocato per vincere, senza troppi calcoli. Ne è uscito un derby non bellissimo ma gradevole, con molti errori e non poche randellate. L’ha vinto Mihajlovic che, attraversando notevoli gineprai, ha messo in piedi qualcosa che sembra una squadra. L’ha perso Mancini, che un gioco e un assetto stabile non li ha ancora trovati. E non può essere sempre colpa dei giocatori e degli arbitri. Se spesso i suoi giocatori danno l’impressione di vedersi per la prima volta, se ad ogni partita si rivolta la formazione, per qualcosa c’entreranno anche le scelte del tecnico. Con l’acqua (la contestazione) alla gola, Mihajlovic ha scelto di scegliere. In una situazione più tranquilla (ora meno) Mancini continua a cercare. La differenza nasce da qui. Il resto lo fa il morale, la fortuna, l’impegno. Su tutto il fronte ha vinto il Milan. S’è pure permesso il lusso di far giocare nel finale Balotelli, che ha ringraziato della fiducia facendosi subito ammonire scioccamente. Più indietro, prima vittoria per Spalletti che ha indovinato una mossa: allontanare il più possibile Rüdiger dalla sua area. La ricompensa sta nel colpo di tacco di El Shaarawy.