Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2016
Dopo lo yuan, anche lo yen inizia il 2016 in una parabola discendente pilotata
Da ieri è cambiata, con una aggiunta, la denominazione stessa della politica monetaria non ortodossa della Banca del Giappone (BoJ): non più “Quantitative and Qualitative Easing” (QQE) ma “QQE with Negative Interest Rate” (Allentamento quantitativo e qualitativo con tassi di interesse negativi). Un cambiamento inatteso, in quanto il governatore della BoJ, Haruhiko Kuroda, in passato aveva detto più volte che tassi negativi avrebbero determinato disfunzioni nel sistema finanziario nipponico, mentre non più di una settimana fa (nel corso di una audizione parlamentare) era parso escluderne la prospettiva, facendo capire piuttosto che un ulteriore allentamento monetario sarebbe prima o poi arrivato attraverso un ampliamento degli acquisti di titoli.Ieri, invece, Kuroda ha ancora una volta dimostrato che per lui il compito di un banchiere centrale non è quello di essere noioso (con l’evitare sorprese ai mercati “telefonando” in anticipo le possibili decisioni), ma, al contrario, quello di cercare di massimizzare gli effetti delle sue mosse spiazzando analisti e investitori. Con il pieno appoggio del governo Abe (dimostrato dalle dichiarazioni entusiaste subito pervenute da parte di vari membri dell’esecutivo), Kuroda non ha esitato nemmeno di fronte all’evidenza di una spaccatura nel board, con 4 membri contrari su 5: il bastian contrario di sempre, Takahide Kiuchi, ha già fatto mettere nero su bianco che l’introduzione di tassi negativi impatterà sul buon funzionamento delle operazioni di acquisto di JGB da parte della BoJ e sarebbe appropriata solo in una situazione di crisi. Sayuri Shirai ha piuttosto rilevato che la mossa rischia di essere accolta come certificazione che il programma di acquisto di asset abbia raggiunto i suoi limiti, oltre a poter creare confusione per il complicato meccanismo a “tre livelli” dei tassi sui depositi parcheggiati alla BoJ.Probabilmente Kuroda è ricorso alla nuova arma – la riattivazione dello strumento dei tassi – anche e soprattutto per evitare l’esplodere di una crisi di credibilità, evidente nei continui e ormai ridicoli rinvii dei tempi di raggiungimento del target ufficiale del 2% sull’inflazione. Nell’aprile 2013, ai tempi del primo utilizzo del suo “bazooka monetario”, la BoJ promise in sostanza di conseguire l’obiettivo in due anni, ossia nella primavera 2015. Ieri è stato ufficializzato il quarto rinvio: ora l’impegno è di arrivare al 2% di crescita dei prezzi «intorno alla prima metà dell’anno fiscale 2017» (aprile-ottobre). Non «entro» ma «intorno» può significare dunque il semestre successivo, ovvero il marzo 2018: tre anni di ritardo.Kuroda aveva utilizzato la fatidica espressione (copyright di Mario Draghi) «whatever it takes» per sottolineare la determinazione a fare di tutto per radicare le aspettative di inflazione e cogliere il target. Con l’Abenomics in affanno – tra crescita modesta ed erratica, prezzi ancora tendenzialmente piatti e problemi vari, da ultimo le dimissioni del ministro delle politiche economiche e fiscali, Akira Amari, per sospetti di tangenti – Kuroda ha dunque rilanciato, cercando di rendersi credibile almeno nelle intenzioni a dispetto delle smentite dei numeri.C’è pero una “narrativa” alternativa: più che questioni di credibilità, si tratterebbe di evitare che l’eventuale continuazione delle turbolenze sui mercati porti a un apprezzamento dello yen penalizzante per profitti aziendali e Borsa nonché sgradito al governo. Lo stesso Kuroda ha parlato di «mossa preventiva», nel senso di un contrasto al rischio crescente di vanificazione delle aspettative di inflazione. Di sicuro, l’introduzione di tassi negativi appare preventiva di un rialzo del cambio. Dopo lo yuan, insomma, anche lo yen inizia il 2016 in una parabola discendente sostanzialmente pilotata.