Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 30 Sabato calendario

Tutti in piedi per Albertazzi

Il pubblico del teatro Ghione a Roma è in piedi: standing ovation per Giorgio Albertazzi che a 92 anni ha recitato il monologo dell’imperatore Adriano, dal capolavoro di Marguerite Yourcenar, sconsolata e distaccata riflessione sulla vita e la morte. Albertazzi ferma gli applausi con un gesto e pronuncia un breve discorso sullo stato dell’Occidente: «Quando qualcuno ti dice che il suo Dio è più Dio del tuo Dio, vuol dire che è cominciata una fase nuova e terribile. Tutti hanno commesso errori, ma oggi la nostra cultura è sotto un attacco mortale. Quella cultura (come aveva detto poco prima nei panni di Adriano) che ha imparato a parlare prima in greco, poi in latino e quindi in tutte le altre lingue». Albertazzi ha recitato il monologo come se ragionasse della propria vita e della propria morte. Ma non parlava di sé. Chiedeva di difendere il futuro. Quando vado a salutarlo sul palcoscenico mi confida: «Anton Cechov perse la testa per Eleonora Duse perché non riusciva a capire come facesse quella donna a recitare un testo come se fossero parole sue. Questo è il teatro: il testo, la tua vita, la vita di tutti». Il pubblico era preoccupato perché Albertazzi non era stato bene durante le prove, ma lui con leggerezza e ironia deviava i riferimenti personali per testimoniare la sua angoscia per gli altri. Il timore per chi, pur circondato dalle opere del Rinascimento, è pronto a tirar su le braghe alle statue soltanto perché gli affari sono affari e contano più dell’identità e dell’orgoglio.