la Repubblica, 30 gennaio 2016
Correre troppo restringe la massa cerebrale
Quelli che passano intere giornate, a volte nottate, stravaccati in poltrona a guardare la tv, un bicchiere di birra in precario equilibrio sullo stomaco l’hanno sempre detto: «Questi che stanno sempre a correre hanno qualcosa che non funziona nel cervello». Beh, è vero. Correre (troppo) fa male. Poi, magari, tutto si sistema e si recupera, ma chiamato a misurarsi con sforzi come quelli dei triathlon, delle ultramaratone, o, più semplicemente, di una maratona per cui non si è sufficientemente allenati, il fisico paga un prezzo anche pesante. Più frequente di quanto si pensi. La stragrande maggioranza di quelli che hanno cominciato a correre con qualche regolarità si pone quasi subito il problema di tentare una maratona. E chi ne ha già fatte due o tre è spesso tentato da prove più dure: la 100 km come quella del Passatore (per un esordiente possono essere anche dodici ore di corsa ininterrotta), un triathlon (nella versione strong 4 km a nuoto, 180 in bicicletta, più una normale maratona, tutto senza pause), imprese epiche come le Marathon des sables ovvero una corsa di più giorni nel Sahara, tenda in spalla.
Non se ne esce come si è entrati. Un gruppo di scienziati tedeschi ha testato 44 partecipanti alla Trans Europe Foot Race, una corsa di 4.500 km in 64 giorni (più o meno 70 al giorno) dall’Italia alla Norvegia. Siamo nel raggio dello sport estremo. E estremo è l’effetto. Gli scienziati hanno registrato un restringimento della massa cerebrale pari al 6,1 per cento, nell’area deputata alla vista. Una sorta di atrofia dovuta, in realtà, a pura e semplice noia, dicono i medici. Ore e giorni concentrati nello sforzo di guardare, praticamente, solo i propri piedi, riducono gli stimoli e l’esercizio visivo. Non ci sono lesioni, ma, secondo gli scienziati, ci vogliono otto mesi perchè la massa encefalica recuperi le dimensioni normali. Assai più rapida (già durante i due mesi dalla gara) la ripresa rispetto alle degenerazioni che comporta, sulle cartilagini delle ginocchia, delle caviglie e dei piedi. Mentre più rari, ma più insidiosi, sono gli effetti che si possono registrare a livello dei reni. La creatina, un enzima che metabolizza l’energia nei muscoli, in situazione di sovrasforzo può penetrare nel flusso sanguigno e andare ad intaccarli. Più frequente, e più temuto, è l’effetto invecchiamento. Correre troppo significa respirare in fretta. Tanto ossigeno genera radicali liberi il cui effetto ossidante ci riempie di rughe.
Lo studio dell’università di Ulm contiene indicazioni al di là dello sport estremo. Se questi sono gli effetti di un supersforzo su organismi superallenati, non troppo diversi devono essere gli effetti di uno sforzo importante, come ad esempio, una normale maratona, su chi non è sufficientemente allenato. I racconti delle prime maratone, del resto, sono piene di “visioni tunnel” («New York? E chi l’ha vista?»), di semiallucinazioni, di “teste completamente vuote”. Per non dire di piedi e caviglie. Da questo punto di vista, se il 40 per cento di italiani che non muove muscolo rischia grosso (diabete, infarto, osteoporosi), il 30 per cento che fa un’attività sportiva non è per questo esentato da ogni cautela. Soprattutto in un paese, come l’Italia, in cui i figli stanno davanti alle playstation e sono i padri ad affollare piste e campetti. Un quarto degli iscritti alla Federazione atletica leggera ha più di 45 anni, come nel tennis. Alla Federazione ciclismo 15mila iscritti su 40mila sono over 50. Le iscrizioni servono a chi vuole fare le gare, ma molti ci arrivano senza una preparazione adeguata. Invece, dicono i medici, a 50 anni l’adattamento cardiovascolare non è facile e neanche scontato. Mica solo per la maratona, anche per un ordinario 10 km.