la Repubblica, 30 gennaio 2016
L’ultima sciagura di Francesco Nuti, picchiato dal badante e salvato da un biglietto
La caduta di Francesco Nuti non finisce mai. Dopo gli anni del dolore, dopo la depressione, l’incidente sulle scale di casa, la paralisi, i tre mesi di coma, i due anni e mezzo d’ospedale, i quasi quattro anni a letto, la lunghissima battaglia quotidiana della riabilitazione, ecco le botte e le vessazioni da parte di un badante, denunciato e allontanato. Una storia umiliante che l’attore infermo ha riassunto al magistrato, scrivendo tre parole su un biglietto scarno e terribile: «Pericolo. Ho paura».
La vicenda su cui sta indagando la procura di Prato viene alla luce un mese fa, quando al badante georgiano trentacinquenne è affiancato un assistente, un giovane originario del Burundi. Costui vede quello che il georgiano fa a Nuti. Vede che lo prende a schiaffi, che lo colpisce sul collo, sulla testa e sul volto, che lo costringe a rimettere in bocca il cibo appena vomitato, che lo picchia sul naso, che lo scaraventa sul letto dopo averlo sollevato dalla sedia a rotelle. L’attore piange, non può parlare, non può gridare. Non può dire che il suo aguzzino non gli cambia più la biancheria e che non gli somministra l’addensante indispensabile per deglutire i liquidi senza soffocare. Alla prigione del corpo si aggiunge quella della casa, dopo che la madre di Nuti non può più occuparsi di lui.
Il giovane assistente si confida con la nipote dell’attore, Margherita, la figlia del fratello Giovanni. E scattano la denuncia e l’indagine condotta dai sostituti procuratori Antonio Sangermano e Valentina Cosci, i quali convocano Francesco Nuti e leggono il raggelante messaggio. Nuti sarebbe stato maltrattato in questo modo indegno per oltre un anno. I magistrati hanno spiegato che i gesti e le poche parole scritte sul foglio sono eloquenti, nonostante le gravi difficoltà di parola e movimento. Francesco è perfettamente in grado di intendere e di volere: il badante è stato allontanato dalla casa dell’attore e verrà interrogato lunedì dal giudice per le indagini preliminari, Francesco Pallini, il magistrato chiamato a spalancare la porta su questo abisso.
Nel sobborgo di Narnali, alla periferia di Prato, in una fila di piccole villette ne spicca una color salmone, con un minuscolo e grazioso giardino sul davanti. Non certo una dimora hollywoodiana. Lì vive Francesco, per tutti Cecco, dopo la caduta dalle scale nel settembre 2006 e l’operazione al cervello che gli salvò la vita ma gliene restituì una di tipo diverso, difficilissimo. Dopo gli anni del successo, delle donne e dei soldi, dei film girati anche come autore, ecco i primi fallimenti, i produttori che voltano la schiena, la depressione, l’alcol e la solitudine. La caduta dalle scale ha rappresentato lo spartiacque. «Mi ha salvato», disse Nuti a Repubblica nel 2011, quando lo intervistammo con l’aiuto di un sintetizzatore vocale. Poche parole scritte con enorme sforzo sulla tastiera, concetti però esattissimi, persino un po’ di voglia di giocare. «Una notte sono caduto e mi sono addormentato». «Sono vivo e sono qui». «Vado alla Casa del Popolo tutti i giorni». «Gioco a boccette con i ragazzi. Alessandro. Mauro. Andrea». «La storia più bella è ancora chiusa in un cassetto»: perché il sogno era pubblicare un soggetto inedito, e magari girarci un film. Aveva già la storia e il titolo, “I casellanti”: due fratelli che s’innamorano della stessa donna, in un vecchio casello ferroviario da far rivivere in memoria del nonno. Sono, in fondo, i temi forti di Nuti: l’amore, la malinconia, lo spaesamento, ma anche l’amicizia e un po’ di speranza senza esagerare, perché la vita è cattiva con i ragazzacci che somigliano a Pinocchio. «Pinocchio sono io», scrisse quella volta Cecco sulla sua tastiera. Era un uomo sofferente ma non arreso. Con l’aiuto del fratello Giovanni era riuscito addirittura a scrivere un libro autobiografico, “Sono un bravo ragazzo”, a esporre i suoi quadri in mostra (ancora Pinocchio come unico soggetto), a vedere pubblicata un’antologia delle sue canzoni perché Francesco è stato anche un cantautore. «Io ci sono».
Sette ore di fisioterapia al giorno, un’apparizione televisiva da Barbara d’Urso che si rivelò un agguato, dove Cecco alla fine crollò e si mise a piangere. La lotta con quel corpo dispettoso e la nitidissima memoria di sé, una percezione mai intaccata dal male: «Io sono un attore drammatico che sorride».
Parlò anche della figlia Ginevra, quella volta. «La mia donna più bella di tutte». Alla fine dell’intervista provò a camminare, puntellandosi col braccio sano e percorrendo qualche passo. Fece l’occhiolino, senza smettere di essere proprio e sempre lui. «Il mio futuro è giovane», scrisse prima di salutarci. Per questo fa ancora più male immaginare tanta sofferenza.