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 2016  gennaio 30 Sabato calendario

Per Arrigo Sacchi «siamo usciti finalmente da una dittatura tattica. Mancava il senso dell’avventura e dell’identità»

Il 1º aprile Arrigo Sacchi farà 70 anni, ma dice che è ancora presto per parlarne. Non così del campionato.
Che idea si è fatto l’uomo di Fusignano?
«Siamo usciti finalmente da una dittatura tattica, per anni la gran parte delle squadre ha messo al centro del progetto il giocatore. Così era troppo facile, vinceva sempre la squadra con la somma dei valori individuali più alta. Mancava il senso dell’avventura e dell’identità».
Per uscire dal dizionario di Sacchi: che cosa è cambiato?
«Che formazioni come il Sassuolo e l’Empoli giocano contro squadre che hanno speso 100 milioni e finiscono con un possesso palla superiore, che nessuno va più in campo solo per difendersi e basta. E che a Napoli mettono uno striscione con scritto “grazie, comunque vada” e che la Roma venga fischiata anche se passa il turno in Champions. Sta nascendo una nuova Italia. Napoli, Fiorentina con, appunto, Sassuolo ed Empoli fanno parte di questa rivoluzione. Tattica e di mentalità».
Non ha citato la Juventus: perché?
«È una società straordinaria, ha un allenatore di valore e sta facendo benissimo. Solo, mi piacerebbe perdesse quel poco di italianità che le è rimasta. Segnare e poi restare indietro. Allegri sta facendo un ottimo lavoro, ma vorrei che fosse ancora più protagonista. La Juve ha tutto, a cominciare dai talenti, per essere una grande squadra con una grande identità».
Quanto le piace Dybala? Se le piace...
«È un godimento per gli occhi. Esprime tutta la gioia di giocare: è un grande talento, alla base c’è una persona che ama il calcio senza essere presuntuosa. Già molto maturo per la sua età. Più di Pogba, per esempio. Dybala non ha controindicazioni».
È vero che assomiglia a Sivori?
«È più completo di Sivori, ma non ancora forte come lui. È un giocatore moderno, uno dei più grandi».
Sorpreso dal Napoli di Sarri?
«Quando ero nel settore federale mandavo i giovani allenatori a studiare il metodo Sarri. Lui ha una straordinaria sensibilità didattica. Il suo capolavoro è fare possesso palla pur schierando alcuni giocatori dai piedi non proprio dolci. Se la sua fosse un’orchestra sarebbe intonatissima pur non avendo tutti fenomeni a suonare».
Si rivede in Sarri?
«In lui e in tutti quelli che mettono il gioco al centro del progetto. Scegliendolo, De Laurentiis ha dimostrato di essere un anno avanti rispetto agli altri. Proprio come fece Berlusconi con me quando mi portò al Milan».
Domani c’è il derby di Milano. Il Milan non decolla (per usare un eufemismo), l’Inter si è fermata. Che cosa è successo?
«Al Milan manca coesione in società, assenza che si trasmette anche al campo. Il Milan è sempre stato un club modello dove tutti, dal magazziniere a Berlusconi, remavano dalla stessa parte. Ora quella coesione non c’è più. Svanita come l’attenzione nello scegliere i giocatori. Per noi prima veniva la persona, poi la sua funzionalità. Io volevo fare un concerto rock, per questo misi da parte quelli che non ce la facevano».
Mihajlovic è la persona giusta per risollevare il Milan?
«È un professionista serio, ma la società si deve mettere in testa che non può più prendere i migliori solisti, come fa il Real per esempio, e allora deve cambiare target di acquisti. I Dybala della situazione».
L’Inter è in crisi di identità?
«Mancini è un bravo allenatore ma in squadra ha troppi specialisti. Risultato? L’Inter manca ancora di identità, ma non è ancora fuori dalla corsa scudetto».
Gli ottavi di Champions sono alle porte: Juve-Bayern e Roma-Real. Pronostico chiuso?
«Per la Juve no. Ha giocatori in crescita come Pogba e Alex Sandro. Più un gruppo storico formidabile. Sembra di sentirli: “Siamo la Juve, non possiamo fare figure”. Come dicevamo noi del Milan».
E la Roma?
«Dura. Il valore del Real è stellare e non sempre funzionano insieme, ma Zidane sta lavorando bene. Se mi piace? È intelligente, però serve tempo per giudicarlo».
Dal Real ad Ancelotti, come un rigore a porta vuota. Funzionerà al Bayern?
«Non poteva scegliere meglio. Ma gli ho dato un consiglio».
Quale?
«Di intervenire di più sulla rosa. Come fanno tutti gli altri grandi allenatori. Lui è un camaleonte, pur di uscire dalle criticità si adatta. Se mi ascolterà? Non mi ha mai dato retta».
E finiamo con Conte: dopo gli Europei probabilmente lascerà il ruolo di ct. Sarà condizionato?
«Antonio? Ma figuriamoci. Oggi è uno dei più grandi allenatori italiani, geniale nell’insegnare calcio, capace di dare alle sue squadre dei tempi di gioco straordinari. L’ho allenato, mi ha detto che già da calciatore studiava i miei quaderni, ma non ci capiva nulla... Ogni tanto anche lui diventa un filo italianista. E non mi ha dato ascolto quando gli suggerii di rimanere alla Juve».
Il futuro di Conte, come quello di Guardiola, sembra essere l’Inghilterra. Potere dei soldi o isola comunque felice?
«Un posto straordinario per il calcio, li vedi e capisci che hanno capito tutto. Nella prossima vita ci andrò anche io».