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 2016  gennaio 29 Venerdì calendario

Facciamo i conti in tasca a Transparency, l’organizzazione che decide chi sono i corrotti

Ogni anno giornali e politici fingono di bersi i dati forniti da Transparency International sulla corruzione nella pubblica amministrazione, o meglio: la presentazione del Cpi italiano (Corruption perceptions index) che per un anno intero viene poi sparato come un dato scientifico inoppugnabile. Nessuno mai (ma veramente mai) si chiede come venga ottenuto questo dato, e soprattutto che cosa sia in definitiva questa Transparency International. Ormai è un rito automatico: ieri molti giornali hanno diffuso ampiamente che l’Italia è classificata al 61° posto e che ha scalato il ranking di 8 posizioni mondiali (e subito l’Unità ha titolato: «C’è inversione», chissà attribuita a chi) ed è ovvio i dati vengano usati politicamente pro o contro il governo: basta leggere i quotidiani di ieri, appunto. Tra l’altro a officiare la conferenza stampa di Transparency c’era il prezzemolino istituzionale Raffaele Cantone: che pure, in privato, ebbe a confidare tutti i propri dubbi circa questa proliferazione di fonti che s’incaricano di classificare la nostra corruzione: dalla Commissione europea alla Corte dei Conti, dal Servizio anticorruzione del Ministero della Pubblica Amministrazione al Dipartimento Statale per la Funzione Pubblica, dall’Alto commissariato Onu per la lotta alla corruzione fino allo stesso Osservatorio anticorruzione di Cantone: oltre, ovviamente, a Transparency, che mercoledì ha presentato il Cpi italiano alla sede di Unioncamere e alla presenza (parlante) del presidente di Unioncamere. E perché? Non sappiamo, sta di fatto che Unioncamere paga e sovvenziona Transparency. Nel maggio scorso, per fare un altro esempio, Transparency organizzò a Lecco l’evento «Io ho le mani pulite» con introduzione a opera del «responsabile per la prevenzione della corruzione del comune di Lecco» (esiste un incarico del genere) e perché? Perché (anche perché) il Comune di Lecco finanziava il tutto, compreso l’inquietante concorso «smaschera il corrotto». C’è una scarsa «transparency» in tutto questo, qualcosa di illegale? Assolutamente no, ma il funzionamento di questa ong non è molto conosciuto, se ne converrà. Qui tentiamo molto parzialmente di provvedere.
Transparency International nasce a Berlino nel 1993, mentre la sezione italiana è del 1996. Nessuno dei fondatori è un personaggio noto. È un’associazione senza fini di lucro che fornisce servizi e consulenze ai privati e alle aziende e al pubblico. In teoria Transparency fa moltissime cose (cosiddetti eventi, pubblicazioni di «indici», il Premio Giorgio Ambrosoli) e campa con finanziamenti vari, come si evince dalle voci a bilancio. Tra i finanziatori puri e semplici c’è Pirelli, Snam (infrastrutture gas), Luxottica, l’agenzia Pomilio Blumm, Terna (reti elettriche), Npi Italia (tubature), Nctm (studio legale) e Inaz (software per la gestione del personale). Nell’Advisor Board noi conosciamo solo Ettore Albertoni (ex consigliere regionale e cda Rai in quota Lega) e Piero Bassetti (imprenditore «moralizzatore» e politico progressista, diciamo). Transparency ha organizzato e organizza seminari anche formativi in giro per città, percorsi di educazione civica, incontra associazioni di categoria, fa studi su studi anche sull’attività di lobbying, manda gente ai talkshow, ha collaborato – il tutto non gratis, ovvio – con supporti e analisi fatte per Ocse, World Bank e Fmi. L’ultimo bilancio l’hanno chiuso in attivo. Risultano pagamenti da Comune di Milano, Unioncamere, Ferrovie Nord Milano, Avepa (agenzia per i pagamenti in agricoltura), Camera di Commercio ed enti pubblici (compresa la presidenza del Consiglio, cui è stato rendicontato il progetto EU Workshop Match-Fixing: non chiedeteci che cosa sia). Più, ancora, da privati come Siemens ed Enel. Nel 2014, altro esempio, aveva stipulato progetti con la Commissione europea per 237mila euro. Come è evidente, oltreché da privati, Transparency Italia percepisce soldi anche dallo stesso settore pubblico di cui deve certificare la corruzione: normale anche questo. Grazie a questi proventi hanno potuto procedere a due assunti a tempo indeterminato più tre a progetto e un part-time: sempre nel 2014. Utile e interessante che l’associazione metta a disposizione una biblioteca con «tutto quello che ti serve sapere sulla corruzione» (per combatterla, si auspica) e cioè oltre 500 tra libri, manuali e riviste; tra questi ci sono volumi di Giorgio Pisanò, del Circolo Società Civile, del giudice Ferdinando Imposimato, di Saverio Lodato, di Marco Travaglio e di Piercamillo Davigo. Proprio una collaboratrice di quest’ultimo, la giurista Grazia Mannozzi, sul Fatto Quotidiano di ieri spiegava che in Italia non abbiamo sanzioni abbastanza severe per i corrotti. L’associazione mette a disposizione anche libri propri: il volume «Partiti politici, trasparenza e democrazia» ha previsto la collaborazione di Pippo Civati, Elio Veltri, Umberto Ambrosoli, Giuseppe Rossetto e Nicoletta Parisi (che collabora anche con Cantone) ed è stato finanziamento della Commissione europea. Tutti i libri che abbiamo visto, lo diciamo per trasparenza, sono stati finanziati dalla Commissione europea.
Ma veniamo ai famosi «indici», che sono addirittura 4: Cpi (Indice di Percezione della Corruzione), Gcb (Barometro Globale di Percezione della Corruzione), Bpi (Indice di Propensione alla Corruzione) e Nis (non abbiamo capito che cos’è). Ci fermiamo alla «percezione della corruzione». Come funziona? In pratica fanno delle interviste «a esperti del mondo degli affari e a prestigiose istituzioni»: la percezione è la loro. Si legge: «Il Cpi 2015 è calcolato utilizzando 12 differenti fonti di dati provenienti da 11 diverse istituzioni che hanno catturano (sic, ndr) la percezione della corruzione negli ultimi due anni». Secondo Trasparency International – lo notammo già a suo tempo – per corruzione si intende genericamente anche «la negligenza nell’eseguire i propri compiti», «la partigianeria delle istituzioni», «la distorsione dell’informazione» e altre cose che con la corruzione c’entrano relativamente, a nostro dire. C’è di buono che in una pagina informativa, l’associazione, lo ammette: «Un dato reale non esiste o, meglio, non è calcolabile... (tuttavia) la percezione, soprattutto se proviene da esperti e uomini d’affari, è l’unica misura in grado di darci un quadro globale del fenomeno». E certo, perché è impossibile paragonare dei paesi in cui il concetto (e il reato) di corruzione differisce completamente, e dove il buon o cattivo funzionamento della giustizia e delle forze dell’ordine possono alterare ogni dato. Più complicato è spiegare come mai, rispetto all’indice italiano, gli scandali Volkswagen e Luxleaks abbiano lasciato inalterato l’indice di Germania e Lussemburgo. Anzi no, c’è la risposta anche a questo: Transparency prende in considerazione solo la corruzione nel settore pubblico. Per quella privata c’è un esplicito invito a rivolgersi altrove.