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 2016  gennaio 29 Venerdì calendario

Sull’edittino di Anzaldi

L’ennesima intimazione di sfratto comunicata dall’epuratore renziano Michele Anzaldi a Massimo Giannini di Ballarò ha suscitato le sacrosante proteste di Roberto Saviano, Ezio Mauro, sinistra Pd e opposizioni varie (tranne Gasparri, che è un po’ l’Anzaldi forzista). Proteste che condividiamo in pieno: abbiamo sempre denunciato gli attacchi dei politici ai giornalisti, anche quando le vittime erano colleghi lontanissimi da noi (difendemmo persino Sallusti quando B. voleva farlo fuori dal Giornale perché aveva litigato con la Santanchè, figuriamoci). Ciò che troviamo curioso e stucchevole è l’aria stupefatta di chi insorge contro gli uzzoli censorii dei giannizzeri governativi. L’aria di dire: ma come, voi siete i buoni e vi comportate come i cattivi (cioè come i berlusconiani)? È lo stesso stupore mal riposto che accompagna ogni passo di avvicinamento di Verdini & his friends al governo, in vista delle elezioni che li vedranno amorevolmente affratellati con una lista apparentata al Pd prima del voto (se verrà cambiato l’Italicum) o fiancheggiatrice del Pd dopo il voto (se l’Italicum resterà tale e quale). Il bersaniano Miguel Gotor ha addirittura scoperto che Verdini & C. sono “antropologicamente diversi da noi”.
 
Purtroppo sia nell’edittino di Anzaldi sia nell’ingresso di Ala in maggioranza, l’unico elemento che stupisce è proprio lo stupore. Ma queste anime belle ci sono o ci fanno? L’intero Pd, minoranza compresa, con tutti i giornaloni al seguito, ha appena approvato e applaudito la schiforma della Rai che mantiene intatte le parti più vergognose della Gasparri (proprietà del Tesoro, cioè del governo; nomine appaltate ai partiti secondo la più bieca lottizzazione; nessun tetto antitrust per i privati quanto a reti e pubblicità, con tanti saluti alle sentenze della Consulta sul monopolio Mediaset) e, per di più, consegna al direttore generale scelto dal premier un potere assoluto che rende ancor più decorativo il ruolo del Cda. Secondo voi, care vispeterese, perché Renzi ha partorito e battezzato (anche col vostro voto) questa boiata, se non per controllare militarmente la Rai ancor più di B.? E allora che c’è di strano se ogni tanto un Anzaldi qualunque si alza la mattina e vomita bile contro uno dei pochi anchormen rimasti in tv a fare informazione (ha persino mandato un inviato ad Arezzo per raccontare la famiglia Boschi allargata a Carboni & massoni, e trasmesso un sondaggio sul 48% degli italiani che vogliono la crisi di governo sullo scandalo delle banche)?
 
Un edittino oggi, uno domani, e a fine stagione Ballarò toglierà il disturbo, rimpiazzato da Tutto va ben madama la marchesa a cura di Johnny Riotta, o magari di Rondolino&D’Angelis che avranno presto molto tempo libero.
 
Prendete ora Verdini. Da quando, di grazia, è diventato “antropologicamente diverso” da voi? I suoi cinque processi sono in piedi da anni, le sue amicizie con Carboni e Dell’Utri sono note dal 2010, la sua abilità trasformistica fa faville dal 2006 quando portò in FI l’ottimo De Gregorio per segare l’erba sotto i piedi di Prodi e poi di nuovo nel 2010, quando acquisì al mercato delle vacche una trentina di parlamentari d’opposizione per rimpiazzare la fuoriuscita dei finiani dalla maggioranza Pdl e salvare il terzo governo B. Qualcuno obiettò qualcosa nel 2013 quando, sotto la sua regìa, il Pdl rielesse Napolitano insieme al Pd? O quando, subito dopo, entrò nel governo Letta di larghe intese? O quando, nel gennaio 2014, organizzò il Patto del Nazareno fra Renzi e B., previo vertice di quattro ore col professor D’Alimonte, l’alchimista renziano delle schiforme elettorale e costituzionale? Le schiforme furono regolarmente votate e rivotate dalla sinistra Pd e in parte (l’Italicum e il nuovo Senato nelle prime letture) anche da FI, Verdini in testa, fra gli applausi dei giornaloni al seguito. Dove sarebbe lo scandalo, ora che Verdini continua coerentemente a votare le schiforme che ha contribuito a scrivere e, già che c’è, dà pure la fiducia al governo? Mica l’ha portato la cicogna, sull’altare dei padri ricostituenti: ce l’ha portato il Pd, tutto, con la partecipazione straordinaria di Napolitano. E quando ciò avveniva c’era un solo giornale che osava denunciarlo: il nostro. Nessuno che avvertisse l’estraneità antropologica che ora si è misteriosamente appalesata.
 
Verdini, detto “il macellaio” o (come lo chiama affettuosamente Renzi) “il bandito”, è l’architrave della legislatura: quella nata dalle elezioni del 2013, vinte a pari merito dal Pd e dai 5Stelle e perse dal Pdl e dal fronte dell’ammucchiata montiana, e inopinatamente divenuta quella del nuovo inciucio con gli sconfitti (prima alla luce del sole con le larghe intese di Letta, poi di nascosto col Patto del Nazareno e con l’Operazione Ala) dopo una serie impressionante di colpi di mano: i franchi tiratori anti-Prodi, la riesumazione di re Giorgio per bloccare Rodotà, Letta jr. prima usato poi silurato per far posto a un premier mai scelto dagli elettori, che per giunta ha imposto al Parlamento una raffica di leggi copiate pari pari dal programma Pdl appena bocciato dalle urne (articolo 18, buonasquola, responsabilità dei giudici, Imu abolita, evasione condonata, premierato assoluto, Parlamento di nominati, salva-Ilva, Rai governativa con assedio permanente alla stampa libera rimasta, ecc.). Chi avalla da tre anni questo golpe bianco a rate senza fare un plissè non ha alcun titolo, oggi, per fare la faccia stupefatta o malmostosa, come se il guaio fossero i buoni traviati dalle cattive compagnie. Animucce candide, rassegnatevi: i buoni non esistono.