Corriere della Sera, 29 gennaio 2016
Torna di moda il bollito
Sette tagli di carne, sette ammennicoli, sette salsine e sette contorni. Caduta nel dimenticatoio per anni, la regola piemontese del bollito perfetto, quella tanto amata dal re Vittorio Emanuele II, è tornata in auge. I puristi della carne come si faceva una volta rialzano la testa. Perché, bistrattato, abbandonato per anni e dimenticato di fronte all’avanzare della cucina d’avanguardia, oggi il carrello dei bolliti è tornato di gran moda. E piano piano ricompare su molte tavole, anche di nuovi ristoranti. Che scelgono di guardare alla tradizione, a partire proprio dai fumi profumati del carrello dei lessi. Pronto a soppiantare anche i piatti più innovativi. E pazienza che le feste di Natale sono passate da un pezzo. I veri buongustai, dai nostalgici ai giovani gourmet, amano il più famoso gran misto di carni, nato in Piemonte ma diffuso in tutto il Nord Italia, dalla Lombardia all’Emilia al Veneto, per tutto l’inverno.
Al «Del Cambio» di Torino, dove pranzava Cavour, il bollito misto cucinato dallo chef Matteo Baronetto è ancora oggi in carta tutti i giorni. A Bologna lo si mangia sempre al «Diana» di via Indipendenza, ristorante simbolo della città emiliana. A Vescovato, in provincia di Cremona, alla trattoria «La Resca»: carello di bolliti con tredici tagli. A Carrù, in provincia di Cuneo, dove ogni anno si celebra la (quasi mitica) sagra del bue piemontese, lo si prepara ovunque, dall’«Osteria del Borgo» in avanti. E mentre a Milano è nata la «Confraternita del bollito misto», c’è chi lo ha completamente rivisitato. Come Massimo Bottura, che all’«Osteria Francescana» di Modena serve il suo bollito non bollito, cotto sottovuoto a bassa temperatura. Ma c’è anche chi si è messo a prepararlo con tutti i crismi. Soprattutto a Milano. Come Diego Rossi della nuova trattoria «Trippa», in zona Porta Romana, che proprio dal cuneese si fa arrivare la carne, quella dei Martini di Boves. «In tanti ci chiedono il bollito, anche molti ragazzi che vogliono riprovare sapori di una volta, conosciuti magari da piccoli in casa e capaci di far affiorare tanti ricordi». O Marta Pulini che al «Bibendum» lo serve sul carrello tutti i giovedì, così come allo storico «Rigolo». Il motivo di questo ritorno? Sebbene il magistrato gastronomo Anthelme Brillat-Savarin, autore dell’ottocentesca Fisiologia del gusto, condannasse il bollito perché colpevole di privare la carne di una preziosa sostanza, l’osmazoma, secondo molti oggi è proprio questo piatto uno dei più adatti per riscoprire antichi tagli dimenticati. «Noi acquistiamo l’animale intero – racconta Giorgio Damini, il cuoco dell’omonima macelleria ristorante, la prima a ricevere una stella Michelin in Italia, gestita insieme al fratello Giampietro – e cerchiamo di utilizzare tutte le parti, non solo il filetto, per non sprecare nulla. E il bollito misto, nella sua complessità, è la ricetta migliore per onorare questa regola». Ma troppe proteine animali, ci ricordano medici e nutrizionisti, non fanno male? «È vero, ormai sappiamo che nutrirsi quotidianamente di carne non è salutare. Bisogna allora dosarla e sceglierla di qualità quando la portiamo in tavola – dice Damini —, tenendo presente che è molto meglio cucinata bollita che alla griglia».
I trucchi? Due restano le grandi scuole. Secondo quella classica piemontese, il gran bollito misto è un vero rito. Nel carrello devono entrare tenerone, scaramella, muscolo di coscia, muscoletto, spalla, fiocco di punta, cappello del prete e altri sette pezzi in aggiunta tra cui lingua e cotechino. Obbligatorio un richiamo, in genere la lonza di maiale arrostita. E poi sette «bagnetti», tra cui la salsa verde, la cren (quella con il rafano) o la mostarda. Più semplice il piatto emiliano, con meno tagli, la carne di maiale al posto, talvolta, del vitello e l’aggiunta dello zampone. E due restano ancora oggi le filosofie di pensiero: c’è chi cuoce tutte le carni insieme in un unico pentolone e chi le divide a seconda del tipo. Come Diego Rossi: «Ogni taglio ha una sua cottura – spiega —. E per avere un buon bollito non bisogna stracuocere la carne ma servirla al punto giusto, altrimenti il risultato sarà solo un ottimo brodo ma non un piatto all’altezza». E allora testina, mascella, lingua e nervetti in una pentola con gli aromi; cotechino in una seconda; gallina in una terza; code, puntine, scaramella, goletta e il resto in una quarta. Il tocco finale? In Veneto è la salsa pearà, a base di midollo e pane vecchio. «Si cuoce nel brodo, servono quasi due ore, ma con una spolverata finale di pepe nero vale la pena aspettare».