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 2016  gennaio 28 Giovedì calendario

Gli ultimi paradisi fiscali sono negli Stati Uniti

Svizzera addio, meglio gli Stati Uniti. Perché i paradisi fiscali, contro cui Washington ha mosso una guerra vittoriosa, esistono ancora. E stanno, guarda caso, proprio negli Stati Uniti. Rothschild & Co., per esempio, ha da poco aperto una società fiduciaria nel Nevada, a Reno, una sorta di parente povera di Las Vegas, dove i ricchi stanno spostando i loro depositi perché esenti dagli obblighi di comunicazione a cui sono ora soggetti antichi paradisi fiscali come Bermuda o le Isole Vergini britanniche. Adesso sono sulla cresta dell’onda Nevada, Wyoming e South Dakota. In quest’ultimo Stato è pronto ad aprire i suoi uffici Cisa, un trust con sede a Ginevra, la cui clientela proviene in gran parte dall’America Latina. Una mossa già fatta lo scorso dicembre da Trident Trust, che ha spostato dozzine di ricchi conti dalla Svizzera e dalle Cayman a Sioux Falls. Qui l’anonimato è garantito, ma qualcosa inevitabilmente trapela. Una ricca famiglia turca, per esempio, sta usando il trust di Rothschild per spostare i suoi asset dalle Bahamas al Nevada e lo stesso sta facendo una facoltosissima famiglia asiatica, che prima usava come paradiso fiscale Bermuda. Molti clienti sono famiglie i cui figli studiano negli Stati Uniti. Data la fuga di capitali in corso da tempo in Cina, viene il sospetto che buona parte di queste ricchezze abbia trovato rifugio nella prima economia mondiale. I nuovi standard dell’Ocse sulla trasparenza sono stati firmati, volenti o nolenti, da tutti gli ex paradisi fiscali, a eccezione del Bahrain e di due minuscole isole del Pacifico, Nauru e Vanuatu. A questo terzetto si accompagna una presenza ingombrante: gli Stati Uniti. Qualcuno potrebbe accusarli di ipocrisia. Ma sembra che la cosa non preoccupi nessuno a Washington.