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 2016  gennaio 28 Giovedì calendario

Il Primitivo d’Asturia, la Vernaccia di San Pietroburgo o la Barbera del Palatinato. Così Bruxelles vuole liberalizzare l’etichettatura dei vini

Ricapitoliamo: non potrà esserci il Brunello di Mozambico. E neppure (Dio ce ne scampi) l’Amarone del Peloponneso. Il Barolo resterà intatto, con il suo inimitabile colore aranciato. Ma Negroamaro, Falanghina, Lambrusco, Greco di Tufo e Picolit presto potrebbero essere globalizzati. La Vernaccia di San Gimignano sarà fianco a fianco sugli scaffali con la Vernaccia di San Pietroburgo. Il Primitivo sarà di Manduria e dell’Asturia. E chi avrà voglia di notare la differenza?
L’allarme l’ha lanciato la Coldiretti, che ha anche stimato la posta in gioco: 3 miliardi di euro. Il valore complessivo dei vini che rischiano di essere «scippati» al vigneto Italia per colpa della possibile modifica europea al regime di etichettatura dei vini attualmente governato dal regolamento CE numero 607/2009. La modifica consentirebbe di liberalizzare l’uso nell’etichettatura dei vini di quei nomi di varietà che attualmente sono riservati ad alcune aree determinate, ma senza alcun riferimento geografico. Insomma, se coltivo Nebbiolo in Croazia nessuno mi impedisce di scrivere in etichetta semplicemente Nebbiolo. Così il Verdicchio diventerebbe come lo Chardonnay, vitigno mondialista, bello senz’anima, e potrebbe essere prodotto sui Castelli di Jesi come in quelli della Loira. Una decisione che colpirebbe soprattutto l’Italia, Paese vitivinicolo che punta quasi tutto sulla diversità degli infiniti vigneti autoctoni piuttosto che, come avviene in Francia, sul prestigio di un territorio. Perché Oltralpe si dice: mi bevo un Bordeaux. E da noi: mi bevo una Barbera. Va a sapere se del Monferrato o del Palatinato.