il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2016
Cresce solo l’economia illegale
Economia nera, affari d’oro. È la sintesi di uno studio che ha messo a confronto l’andamento dell’economia regolare con quella sommersa e illegale nell’ultimo triennio. La ricerca – dell’ufficio studi di Confartigianato su dati Istat e Unioncamere – fornisce risultati inquietanti, e dimostra che è in corso un travaso di valore dal “bianco” al “nero”. Nello stesso periodo in cui l’economia regolare perdeva il 2,4% in termini di valore aggiunto, quella sommersa e illegale è cresciuta infatti di identica percentuale: + 2,4. Non solo. All’interno del “non osservato’’ – a sua volta diviso in economia sommersa e illegale – la crescita più vertiginosa è stata proprio quella delle attività criminali, che hanno segnato un’impennata nel volume d’affari del 6,9%. Droga, prostituzione e contrabbando, con relativo indotto, hanno ottenuto un fatturato di 16,5 miliardi: una cifra superiore a quella dell’intera produzione dei mezzi di trasporto, auto compresa, che sfiora i 15,8 miliardi. Il solo traffico di stupefacenti vale quasi quanto tutta la spesa nazionale per l’assistenza sociale: 11,5 miliardi, contro 12,4.
La nostra economia, dunque, si sposta sempre più non solo verso il sommerso, ma anche verso il crimine, che pesa oggi più di alcuni settori chiave come l’immobiliare, l’assicurativo, il farmaceutico. Parlano i numeri: il comparto illegale, col suo 6,9%, registra la performance migliore tra i 28 settori in cui è suddivisa l’economia regolare, superando altri settori giganteschi come le attività immobiliari, che crescono di appena il 2,9, i macchinari o le attività finanziarie e assicurative, entrambi con +2,3. Al terzo posto nella classifica dei migliori risultati c’è l’economia sommersa, che con un +2% ottiene un risultato migliore dell’industria chimica (+1,7%) o dell’industria farmaceutica (+ 0,3%). Quanto ai restanti 21 comparti tradizionali, dal tessile all’alimentare, il segno è per tutti meno.
Dunque è il nero a trainare il nostro Pil. Lo studio di Confartigianato calcola, infatti, anche il volume delle attività regolari prestate però in modo “abusivo’’, e nuovamente si nota il travaso: nel 2014 siamo arrivati a oltre un milione di imprenditori e lavoratori autonomi irregolari, con una crescita dello 0,3%, contro un drastico calo del 4,2%, pari a quasi 300 mila unità perdute, di quelli in regola. Del resto, il mercato per tutto questo c’è, ed è florido: nel solo 2014, quasi 7 milioni di persone hanno acquistato beni e servizi in nero, pari al 13,5% della popolazione di riferimento (maggiori di 15 anni), contro una media Ue dell’11%. Ma in rapporto al Pil pro-capite, la nostra spesa nel comparto irregolare è addirittura superiore del 75% alla media Ue, del doppio rispetto alla Francia e del triplo rispetto alla Germania.
Chi paga il prezzo sono le imprese “pulite’’. In particolare le piccole, così spesso celebrate come la vera spina dorsale del paese. Oltre il 65% del settore artigiano è vittima di una concorrenza sleale e durissima da parte dei “colleghi’’ del sommerso: al terzo trimestre del 2015, erano 898.902 le imprese messe a rischio da questo dumping, oltre due terzi del totale. Tra i comparti più esposti ci sono costruzioni, servizi, trasporti, ristorazione; tutti con tassi d’irregolarità superiori alla già alta media nazionale. Il che ha indotto Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato, a chiedere una “operazione verità”: “Basta ipocrisie c’è troppa economia illegale che sottrae reddito e lavoro agli imprenditori onesti. Serve tolleranza zero”.