La Stampa, 28 gennaio 2016
Cinquant’anni fa a Brema esplose l’aereo che trasportava la Nazionale italiana di nuoto. I ricordi di Daniela Beneck, che non era partita
Daniela Beneck aveva solo 19 anni ma era già fra le migliori nuotatrici europee. Doveva esserci anche lei sul Convair della Lufthansa che portava la Nazionale italiana di nuoto al Meeting di Brema, in Germania. «Invece, d’accordo col mio tecnico, decisi di restare a casa – ricorda -. Non so perché, a Brema c’ero già stata anni prima e quella piscina buia e fredda mi metteva paura». Un sesto senso che le salvò la vita. Quell’aereo, partito da Francoforte dopo mille difficoltà, esplose durante l’atterraggio per motivi mai spiegati: erano le 18,51 di venerdì 28 gennaio 1966. Fra le 46 persone a bordo c’erano anche 7 nuotatori azzurri: Bruno Bianchi (il più “vecchio”, 22 anni), Amedeo Chimisso, Sergio De Gregorio, Dino Rora, Carmen Longo, Luciana Massenzi e Daniela Samuele (la più giovane, solo 17 anni). Con loro morirono il tecnico federale Paolo Costoli e il telecronista Nico Sapio della Rai. «Per me non sono mai scomparsi – si commuove ancora, dopo 50 anni, Daniela Beneck -. Erano amici prima che rivali, ragazzi meravigliosi con i quali avevo condiviso i miei anni migliori. Un giorno mi sono svegliata e non c’erano più. Ma li ho sempre dentro di me». Oggi a Roma la Beneck sarà la promotrice di una cerimonia di commemorazione nella Sala d’Onore del Coni.
Per non dimenticare
La notizia della tragedia di Brema rimbalzò nelle redazioni dei giornali intorno alle 21, mentre l’Italia era assorta davanti alle tv per il Festival di Sanremo. Dispacci dapprima frammentari poi sempre più precisi e impietosi sottolinearono il terribile e beffardo destino che si portò via le promesse del nuoto azzurro quasi come 17 anni prima, il 4 maggio 1949, aveva eternato la leggenda del Grande Torino. «Forse era destino che io non fossi su quell’aereo e continuassi a vivere per raccontare chi erano, chi sono, i Caduti di Brema». La fortuna che salvò la Beneck sorrise anche ad altri nuotatori azzurri di allora. Il ranista Gianni Gross, compreso inizialmente fra le vittime della tragedia, non era invece partito perché fuori forma. «Fu lui stesso a telefonare ai giornali, dicendo che era vivo». All’ultimo momento non erano andati in Germania nemmeno Pietro Boscaini per problemi di salute, Elisabetta Noventa per un esame universitario, Laura Schiessari per un’appendicite. E si era defilato in extremis anche il tecnico Bubi Dennerlein, che sarebbe poi diventato allenatore e mentore di Novella Calligaris.
«La fanciullezza, stroncata dalla morte, è una cosa tremenda, ma in sé è anche divina, perché non ha conosciuto le sventure umane», c’era scritto nell’ultimo compito in classe Sergio De Gregorio. «Voglio starmene da sola in riva al mare a ringraziare Dio per quello che ha creato» aveva sussurrato Luciana Massenzi agli altri azzurri sulla spiaggia di Catania alla fine del collegiale di preparazione proprio al meeting di Brema. «Mamma perdonami. Di cosa? Di tutto» disse invece Dino Rora per telefono a sua madre lasciando Torino per raggiungere i compagni in partenza per la Germania.
Tragica fatalità
«Una serie di presagi sfavorevoli accompagnò quell’ultimo viaggio» ricorda la Beneck. Il volo previsto da Linate per Francoforte venne infatti cancellato per nebbia. Si stava già organizzando un’alternativa con pullman e treno quando si trovò in extremis un aereo della Swissair per Zurigo, con coincidenze successive per Francoforte e Brema. Gli azzurri però arrivarono a Francoforte con 12 minuti di ritardo, così persero il volo già prenotato per Brema, che arrivò regolarmente, e si imbarcarono su quello successivo, che non arrivò mai. «Quel nuoto, quel mondo, non esistono più, faticavamo solo per passione e amicizia, senza guadagnare un soldo, anzi. Ogni volta che entravamo in piscina per allenarci dovevamo pagare 30 lire», il costo di un gelato. Nei teneri sguardi di quei sette ragazzi finiti su tutte le prime pagine dei giornali già si intravedevano la generosità e la passione, l’ingenuità e l’abnegazione dei futuri campioni. Poveri ma belli, umili e per questo ancora più grandi. Eppure ci volle una morte tragica e prematura per affrancarli dall’anonimato in un’Italia che era appena tornata a galla dopo la guerra ma quasi non sapeva nuotare. «Per me ricordarli e farli ricordare è una missione che dura da 50 anni. E che continuerà fino a quando, un giorno, non li potrò riabbracciare».