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 2016  gennaio 28 Giovedì calendario

Abbado, Barenboim, Accardo, Pavarotti e tanti altri. La storia della musica passa per il concorso "Viotti"

Ilya Maximov, l’ultimo vincitore, scrive dalla Russia. Entusiasta perché in marzo suonerà con il suo pianoforte nello stesso auditorium dei Berliner. È una mail, che arriva in pochi secondi negli uffici della Società del Quartetto, dove è già pronto il bando per l’edizione 2016 del Concorso internazionale di musica Giovan Battista Viotti, questa volta in cerca di voci della lirica: le domande di giovani artisti da tutto il mondo si accolgono fino al 22 luglio, ad ottobre cominciano le selezioni in teatro.
La mail di Ilya forse un giorno sarà una piccola pagina di storia. Lontana, eppure vicinissima, alla lettera che mezzo secolo fa un diplomatico argentino spedì a Joseph Robbone, il fondatore del Concorso. Quel diplomatico era un padre in apprensione, che chiedeva di prendersi cura del figlio. Aveva undici anni e sarebbe rimasto in Italia da solo. Quel bambino si chiamava Daniel Barenboim e sarebbe diventato un pianista e direttore d’orchestra celeberrimo. Robbone, matematico estroso con una passione sconfinata per la musica, non perse tempo. Chiamò Esmeralda Tron, signorina di buona famiglia vercellese, che già collaborava con l’organizzazione, e le chiese di ospitare a casa il piccolo talento. Che ottenne (era il 1954) il Gran premio speciale della giuria.
Cominciò così una tradizione viottiana che non si è mai interrotta: le famiglie accolgono in casa giovani pianisti e cantanti che arrivano dall’altra parte del mondo. Li incoraggiano, li applaudono in finale. Li seguono quando diventano famosi. E da quest’anno, con il nuovo accordo tra Vercelli e il Teatro Carlo Felice di Genova, andranno anche ad applaudirli ai primi concerti.
A Joseph Robbone, nel tempo, sono succeduti la moglie Maria, soprano che ha lasciato musica e carriera per seguire il sogno del marito, scomparso a metà degli Anni 80, e il figlio Pier accompagnati da due diversi direttori artistici, prima Giuseppe Pugliese e poi Pietro Borgonovo. Il soprano Maria Arsieni era arrivata dalla vicina Valsesia negli anni in cui a Vercelli si presentava anche un Luciano Pavarotti giovanissimo, catapultato direttamente alla prova finale del Concorso. Big Luciano aveva 23 anni, la voce doveva ancora maturare e sebbene avesse cantato «Oh dispar vision» dalla Manon di Massenet e «Che gelida manina» dalla Bohème di Puccini, che sarebbero diventati suoi cavalli di battaglia, non convinse più di tanto. La giuria, per altro, nel 1958, era severissima, con quel Giulio Confalonieri «che non lasciava passar nulla». Il primo premio per il canto non andò a nessuno.
Non vinse, nel 1955, a 22 anni, neppure Claudio Abbado. Arrivò in finale e ottenne un diploma di merito. Ma per il pianoforte, che poi non è stato il suo strumento. Nello stesso anno un Salvatore Accardo quattordicenne, che si presenta in scena con i pantaloni corti, ottenne il terzo premio nella sezione di violino.
Alla scuola del Viotti, il Liceo, che per anni formerà artisti di talento, si presenta invece Raina Kabaiwanska. È bella come una dea, arriva dalla Bulgaria con una borsa di studio e c’è chi sussurra (non si saprà mai se sia vero) che il suo Paese la controlli. Alloggia alla Piccola Opera Caritas, che non è proprio un appartamento da divine.
Negli Anni 60 in giuria siede anche Arturo Benedetti Michelangeli, che è poco incline ai concorsi. Non ha un carattere semplice, ma a Vercelli trova un’accoglienza informale e si scioglie nella vecchia trattoria di via Verdi, la Svizzera, dove Robbone porta i giovani artisti squattrinati, davanti a un piatto di agnolotti monferrini.
A metà degli Anni 80, il Concorso, nella prima edizione guidata da Maria Arsieni, lancia Jo Soo Kuong, soprano coreano dal nome quasi impronunciabile, che sceglierà di trasformarsi in Sumi Jo. È lei che folgora von Karajan, che in pochi mesi la porta al debutto a Salisburgo. Poi arriva il tempo di Angela Hewitt, Martina Filjak e dei tanti altri che verranno. Per il 2016 si cerca un nuovo re.