Corriere della Sera, 28 gennaio 2016
Le nuove generazioni non vogliono dimenticare l’orrore della Shoah. Guardando “Sconosciuti”
«Perdere il passato significa perdere il futuro», dice l’architetto Wang Shu, famoso per aver progettato musei di storia in Cina. Il fatto è che non possiamo liberarci del passato, non c’è teca o pietra che possa far da coperchio a quello che l’uomo ha fatto, specie quando ha compiuto nefandezze. La frase dell’architetto cinese (che appare all’inizio del programma) serve a farci conoscere una giovane coppia, Claudio e Pamela Spizzichino, con i loro figli. In occasione della Giornata della memoria, «Sconosciuti», il programma di Simona Ercolani, scritto da Andrea Felici, Anna Pagliano e Coralla Ciccolini (Rai 3, mercoledì, 20.15), ha commemorato le vittime della Shoah con una puntata speciale, dalla quale è emerso come le nuove generazioni non vogliano dimenticare l’orrore di quel periodo e anzi siano motivate, ancor più di chi le ha precedute, a tramandarne la memoria. Claudio e Pamela sono ebrei romani (a ben vedere, i veri romani), due sconosciuti, nel senso che non hanno mai provato le luci della ribalta, ma la storia che li avvolge, che unisce padri e figli, che mescola il tragico con la quotidianità, è storia di tutti. Quando erano piccoli, a Claudio e Pamela i genitori non hanno raccontato nulla dei campi di concentramento: pensavano che, non nominandolo, il Male restasse fuori dalle loro giovani vite. È stata una prozia di Claudio, Settimia Spizzichino, unica superstite della retata del 16 ottobre 1943 nel ghetto della capitale che condusse gli ebrei romani ad Auschwitz, a svelare loro gli abissi del Male. Per anni, Settimia ha avuto la determinazione e la forza di raccontare ogni giorno la sua esperienza. Ma non è bastato. La nonna di Pamela è morta nell’attentato alla Sinagoga di Roma, il 9 ottobre 1982, a riprova che le ferite non si rimarginano mai. Per onorare degnamente questi momenti, consiglio di leggere il saggio su un grandissimo scrittore: Primo Levi di fronte e di profilo di Marco Belpoliti (Guanda).