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 2016  gennaio 28 Giovedì calendario

La Cina ha dichiarato guerra a Soros

È una vecchia litania. Ancora lui, George Soros, miliardario-filantropo, ebreo di origini ungherese. Nel ‘92 fu tacciato di aver speculato sulle difficoltà della lira (e della sterlina) costringendo il governo Amato ad una manovra lacrime e sangue (compreso un mini-prelievo sui conti correnti degli italiani) per difendersi dalla crisi del debito sovrano. Quella speculazione – secondo alcune ricostruzioni – gli valse un assegno da un miliardo di dollari. Ora viene accusato dal «Quotidiano del Popolo», il giornale più legato alla nomenklatura comunista, di aver “aggredito” il renminbi, il cui valore – da agosto 2015 ad oggi – è sceso del 5%.  Il titolo del fondo di prima pagina – «Dichiarare guerra alla valuta cinese? Ah ah»— non ha certo i crismi di un documento da sherpa diplomatici. D’altronde è un commento firmato da un ricercatore del ministero del Commercio cinese prontamente rilanciato dal «Financial Times» che ne ha fiutato la portata inserendolo all’interno di una partita più ampia che riguarda i rapporti tra Washington e Pechino. L’intento dell’editoriale – considerando il controllo sulla stampa del partito comunista – è di attenuare le critiche internazionali sulle difficoltà di tenuta dello yuan. Il cui valore per anni è stato tenuto artificialmente basso in un’ottica di svalutazione competitiva. Ma lo scopo è soprattutto di convincere i grossi fondi di investimento (per la gran parte americani) che lo yuan sia ancora una moneta sicura. Recentemente inserita nel paniere delle valute di riserva dal Fondo monetario internazionale. Certo la politica aggressiva di Soros s’inserisce in un contesto di politica monetaria piuttosto espansiva da parte della Banca centrale cinese che sta attingendo ad una parte delle sue riserve in valuta estera nel tentativo di fermare la discesa del suo valore. Una settimana fa Soros ha confidato a «Bloomberg Tv» che sta scommettendo contro lo yuan perché prevede un «atterraggio duro per l’economia cinese», definendolo «praticamente inevitabile». Al recente forum di Davos ha rincarato la dose. Lo “speculatore delle monete” ritiene che i cinesi abbiano aspettato troppo a lungo per affrontare il passaggio da un modello di crescita basato sul surplus di bilancia commerciale grazie alle esportazioni ad un altro incentrato sulla domanda domestica. I dati macro-economici suggeriscono una prima evidenza, che sembra dar credito a Soros: nel quarto trimestre del 2015 la Cina è cresciuta solo – si fa per dire – del 6,8%, il dato più basso da 25 anni a questa parte.