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 2016  gennaio 28 Giovedì calendario

L’ormone dell’intestino che evita tumori al fegato

C’è un cortocircuito nella comunicazione ormonale tra fegato e intestino all’origine di alcune forme di epatocarcinoma che colpiscono i bambini. Lo ha dimostrato uno studio finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) che è stato pubblicato su Epathology e ripreso nel numero di questo mese della rivista Nature Drug Discovery. «Questi tumori si scatenano quando gli acidi biliari si accumulano nel fegato, perché la bile, indispensabile per la digestione, continua a essere prodotta anche quando non serve», spiega uno degli autori della ricerca, il professore dell’Università degli studi di Bari Antonio Moschetta, che ieri era a Milano per presentare la campagna «Le Arance della salute» (l’iniziativa dell’Airc che sabato porterà in 2.500 piazze italiane oltre quindicimila volontari per raccogliere fondi a sostegno della ricerca contro il cancro). 
L’ipersecrezione di bile induce uno stato di stress tossico nel fegato che così sviluppa fibrosi. Queste possono poi trasformarsi in epatocarcinomi, tumori al fegato. «Tutto ciò succede perché il fegato non “parla” più con l’intestino – dice Moschetta —. Noi abbiamo scoperto qual è il “messaggio” che viene a mancare: si tratta del nuovo ormone Fibroblast Growth Factor 19 (FGF19), secreto dall’intestino in relazione all’assunzione di nutrienti e molto importante per segnalare al fegato di bloccare la produzione di bile. Lo abbiamo reinserito in modelli di studio e abbiamo visto che questo ha protetto completamente dalla formazione del tumore». Risultati promettenti anche per lo sviluppo di più efficaci terapie per l’uomo. 
Lo studio finanziato dall’Airc focalizza l’attenzione sul rapporto tra nutrienti e metabolismo e sui meccanismi alla base della prevenzione e del rallentamento della progressione dei tumori: «Nel prossimo futuro l’approccio metabolico che mira a interferire con la “benzina” che fa crescere i tumori promette di rivoluzionare la cura del cancro», assicura Moschetta. Tre milioni e trecentomila morti di cancro nel mondo, secondo l’Institute for Health Metrics and Evaluation (il centro indipendente di ricerca globale sulla salute dell’Università di Washington) sono correlate a rischi legati al comportamento e al metabolismo. Oltre il 40% delle morti per cancro potrebbero essere facilmente prevenibili modificando gli stili di vita. Tra i fattori di rischio, oltre al fumo (il principale indiziato con 1,5 milioni di decessi all’anno), ci sono scarsa attività fisica, obesità, una dieta con eccesso di sale, alcol, basso consumo di frutta e verdura, e, seppure in minor misura, l’eccesso di carne rossa e processata.  
«In particolare, un terzo dei tumori nasce a tavola e questo non dipende solo da quanto o cosa si mangia, ma anche dal quando», continua Moschetta. Di tutto ciò si occupa la nutrigenomica, la scienza che studia l’interazione tra cibo e patrimonio genetico: «Indaga cioè come i nutrienti attraverso l’interazione con gli interruttori del Dna sono in grado di “accendere” e “spegnere” i nostri geni e quindi di predisporre oppure no ai tumori».  
Proprio la nutrigenomica insegna che per chi tende all’obesità non solo bisogna limitare i cibi ad alto indice glicemico, ma anche fare attenzione all’ora in cui si mangia. «Se si sceglie di mangiare un bel piatto di pasta o una fetta di torta, la cosa migliore è farlo di giorno, a pranzo o a colazione – chiarisce il professor Moschetta —. Gli zuccheri assunti con la dieta vengono convertiti in grassi nel fegato. L’assunzione di zuccheri alla sera, quando la richiesta di glucosio da parte degli organi è fortemente ridotta, fa sì che i grassi, generati dagli zuccheri, si depositino nel fegato generando il cosiddetto fegato grasso mentre alcuni di essi possono depositarsi nella zona addominale». A sua volta l’accumulo di grasso nella regione addominale aumenta il rischio di sviluppare molte malattie, tra cui anche alcune forme di tumore.