la Repubblica, 27 gennaio 2016
I professori costretti a fare l’alcol test in una scuola di Torino si dicono «umiliati»
Caro professore, prego, soffi qui. Trattare l’austero docente di matematica come un qualsiasi scapestrato del sabato notte può essere una bella soddisfazione per gli allievi. Ma al Convitto nazionale Umberto I di Torino gli insegnanti non l’hanno presa bene: «Siamo umiliati», protestano. La preside ribatte: «È la legge». E dalla prossima settimana «a piccoli gruppi estratti a sorte», tutti andranno a sottoporsi all’alcol test. A meno che non cambi la legge. Che, in fondo, è quel che sperano tutti i protagonisti dell’ultimo avvitamento della burocrazia nazionale e locale.
La prova del palloncino ai docenti delle scuole italiane è, teoricamente, un obbligo dal 2008 quando il decreto legislativo 81 ha imposto ai medici di azienda di sottoporre ad alcol test tutti i dipendenti di particolari categorie a rischio. L’elenco è nel provvedimento della Conferenza Stato-Regioni del 16 marzo 2006. E qui, accanto a «tassisti», «personale marittimo», «piloti d’aeromobile», «responsabili della produzione di esplosivi» e «tecnici di manutenzione degli impianti nucleari», compare, al comma 6, «l’attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private», naturalmente «di ogni ordine e grado».
Gran parte delle scuole italiane ha bellamente ignorato il provvedimento. Non per scelta ideologica: «Macché – ammette Cosimo Scarinzi della Cub di Torino – i test non si fanno perché costano e le scuole non hanno un quattrino». E rinunciare alla carta igienica per fare la prova del palloncino ai professori pare assurdo.
Ma la legge è legge. Così Giulia Guglielmini, preside dell’Umberto I, ha deciso di passare all’azione: «Non posso scegliere. C’è una norma nazionale e c’è una delibera regionale che impone di rispettarla». Dunque nei giorni scorsi l’ufficio del personale della scuola ha inviato una mail «a un primo gruppo di cinque insegnanti estratti a sorte». «Egregio professore – recita il testo – la invitiamo a presentarsi per un esame preliminare nell’ufficio del medico d’istituto». L’avviso precede di 4-5 giorni il momento del test. «Solo un alcolizzato all’ultimo stadio – ironizza Scarinzi non riesce a rimanere astemio se avvisato della prova del palloncino con quattro giorni di anticipo. In quel caso la scuola ha mille strade più serie per intervenire». Negli ultimi anni le scuole torinesi hanno tentato in ogni modo di evitare la gogna del test. Inventandosi corsi sui pericoli dell’alcol, compilazione di questionari, autovalutazioni da parte degli insegnanti. In autunno un istituto aveva provato a proporre la prova del palloncino ma gli insegnanti si erano ribellati organizzando un variopinto brindisi.
Come uscire dal pasticcio? Antonio Saitta, assessore piemontese alla Sanità, è l’autore dell’ultima delibera che ha armato la preside dell’Umberto I. Anche lui ha le mani legate: «Siamo obbligati dalla legge nazionale. Poi ci va il buon senso. Sottoporre tutti gli insegnanti alla prova del palloncino è assurdo. Sta ai medici delle scuole scegliere i casi da tenere sotto controllo». Ma lo stesso Saitta, coordinatore degli assessori alla sanità delle Regioni italiane, ammette che il problema sta nel manico della legge: «Come conferenza Stato-Regioni proporremo nelle prossime settimane al governo di escludere gli insegnanti dalle categorie per cui il test è obbligatorio». Perché un conto è sedersi al cockpit di un Jumbo un altro è insegnare Seneca dalla cattedra. Resta l’ultimo mistero: perché proprio in Piemonte si sono agitati applicando una legge ignorata nel resto d’Italia? Il senso del dovere sabaudo c’entra poco. In cambio dell’anonimato, tutti i protagonisti sussurrano la stessa parola: «Guariniello». L’idea che il magistrato del lavoro più noto d’Italia potesse sanzionare chi non rispettava le leggi sulla sicurezza ha spinto molti a prevedere i test. Ora che Guariniello è andato in pensione, il palloncino finirà in soffitta.