La Stampa, 27 gennaio 2016
L’Audi gialla non corre più. È stata bruciata nelle campagne del trevigiano. Nessuna traccia dei banditi
Campi di mais gelati, odore di legna bruciata e silenzio. La storia dell’Audi gialla finisce qui, probabilmente, infossata dentro uno sterrato agricolo. «Un posto che bisogna conoscere bene, non ci si ferma per caso», dice la signora Monica Santinò affacciata dalla sua finestra di casa. Abita a cento metri dai nastri di demarcazione lasciati dai carabinieri del Ris. «Proprio in quel punto c’è una rampa dove passano i trattori – dice – quando il livello del fiume consente l’attraversamento».
Siamo a metà strada fra Bassano del Grappa e Montebelluna, nel cuore di un Nord-Est fatto di campagne, villette con cancelli alti e cani da guardia feroci, piccole fabbriche, fatica e cultura contadina. Qui, un rogo appiccato a mezzanotte di lunedì ha distrutto l’auto più ricercata d’Italia. Un lavoro fatto bene, a quanto pare. Al punto che il procuratore capo di Treviso, Michele Della Costa, dice: «Questa storia purtroppo ha avuto un’eccessiva eco mediatica. Adesso sarà difficile trovare dei reperti utili sull’auto bruciata. Le possibilità di identificare e rintracciare i tre banditi sono ridotte al minimo».
L’auto rubata è andata in fumo, restano poche evidenze persino del suo colore originario. I tre banditi, autori di furti e scorribande, con fughe rocambolesche sull’orlo dei 200 all’ora, si sono dileguati. «Stavo tornando dal lavoro in pizzeria, quando ho visto i vigili del fuoco all’opera», dice la signora Lorella Pezzotta. «Le fiamme erano già spente, ma l’odore si sentiva a distanza». L’esplosione risale a mezzanotte. All’inizio nessuno l’ha collegata all’Audi gialla. «Questa zona è un paradiso, non abbiamo mai avuto problemi», dice il signor Dino Filippin. «Io e la mia famiglia abbiamo dormito tranquillamente, solo di mattina abbiamo capito che si trattava di una cosa seria. Quando continuavano ad arrivare auto dei carabinieri».
Gli esperti della scientifica cercheranno di trovare tracce dei banditi in mezzo alla carcassa carbonizzata. Ma è chiaro che non sarà un lavoro facile. Qualcuno immaginava che fossero già scappati chissà dove e invece erano qui. «Significa che avevano un covo da queste parti», dicono tutti al bar del paese. «Perché non è che potevano azzardarsi a fare tanta strada a bordo di quell’auto».
Le polemiche
Ora che se ne sono sbarazzati, dormiranno sonni più tranquilli. Ma ormai sono diventati un simbolo, come spesso accade in Italia. E i simboli finiscono per essere usati politicamente. Ecco Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, durante la sua visita di ieri alla frontiera orientale d’Italia: «Non è possibile che gli altri tati controllino i loro confini mentre da noi entra gente che sfreccia a 250 chilometri orari in autostrada, sparando a polizia e carabinieri. È roba da matti. Queste situazioni si verificano solo in Italia».
Non risulta che i banditi dell’Audi gialla abbiano mai sparato. Non ci sono certezze neppure sulla loro provenienza. Anche se alcuni investigatori, nei giorni scorsi, hanno dichiarato: «Potrebbe trattarsi di una banda di provenienza est europea». Molte supposizioni, azzardi, una gigantesca caccia collettiva sui social, nessuna certezza.
Il sospettato innocente
Prendi il caso di Altin Paloka, 20 anni, albanese. Per qualche motivo, ancora difficile da comprendere, ha visto la sua faccia associata al caso dell’Audi gialla. Era cioè – almeno nel tribunale di Facebook – il sospettato numero 1. «Io non ne sapevo niente di questa storia» ha dichiarato in questura a Torino. «Sabato sera stavo dormendo a casa di un amico a Forlì, quando ho ricevuto la telefonata di mia madre da Tirana. Era in lacrime. Ha incominciato ad insultarmi. Cosa hai fatto? Cosa hai combinato? Non capivo. Allora, mi ha detto di guardare la foto che girava sul web». Ed ecco come Altin Paloka, che ha un alibi di ferro, ha spiegato quella foto. «Un anno fa, era gennaio, sono stato fermato con due amici alla stazione di Mestre per un controllo dei documenti. Ricordo che un poliziotto ci ha scattato una foto con il suo telefonino, cosa che già allora avevo trovato abbastanza strana…». Come quella foto sia finita, un anno dopo, su un giornale locale e poi su tutti i sociali network, associata alla banda dell’Audi gialla, è un mistero. Altin Paloka nulla ha a che fare con questa storia.
I fatti certi attribuibili alla banda sono: il furto dell’Audi all’aeroporto della Malpensa, tre furti in appartamento in Veneto, due fughe ai posti blocco, l’inversione a U in autostrada che non è direttamente collegata a un incidente mortale avvenuto 2 chilometri dopo. La procura di Venezia ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato di resistenza. I tre banditi dell’Audi gialla da ieri viaggiano a piedi, oppure su qualche auto meno vistosa.