La Stampa, 27 gennaio 2016
Alla vigilia del voto in Iowa, Hillary si sente minacciata da Sanders ma resta convinta che «non diventerà Presidente solo se muore»
La campagna di Hillary Clinton è molto preoccupata, perché alla vigilia del voto in Iowa non si aspettava di trovarsi in queste condizioni, minacciata da un socialista come Bernie Sanders. Però resta convinta che «lei non diventerà presidente solo se muore», come ci ha detto uno strettissimo collaboratore, a meno che ad abbatterla non ci pensi l’inchiesta in corso dell’Fbi sulla mail privata usata al dipartimento di Stato.
La campagna in generale va bene. Aveva l’obiettivo di raccogliere 100 milioni di dollari di finanziamenti entro la fine del 2015, e ne ha ricevuti 120. Il problema è che ora sta spendendo troppo in Iowa per colpa di Sanders, e quindi dovrà prendere prestiti. Non userà i “SuperPac”, perché avendo contro Bernie è impensabile. Quindi l’unico modo in cui i veri ricchi possono contribuire è dare soldi ai victory fund, cioè i fondi del partito, con cui però la campagna non si può coordinare e che potranno essere usati solo dopo la nomination.
Battuta da Obama
I consiglieri danno per scontata la sconfitta nel New Hampshire, mentre l’Iowa è contesissimo. Stanno facendo di tutto per vincere, perché una sconfitta riporterebbe alla memoria quella del 2008 contro Obama, innescando lo sconforto. Allora Hillary perse perché non aveva una buona organizzazione sul terreno, che stavolta invece esiste: «Porteremo fisicamente gli elettori ai caucus». La strategia è anche corteggiare O’Malley, perché se non arriverà al 15%, i suoi voti dovranno andare a Clinton o Sanders, decidendo il confronto. Nessuno contesta la gestione di John Podesta e Robby Mook: «Se stavolta si perde – dice dunque la fonte – è per Hillary». Il problema è sempre il solito: «Non è brava come il marito Bill a fare campagna, odia l’Iowa dove vuole venire il meno possibile, e non eccita nessuno perché è in giro da troppo tempo. È percepita come espressione dell’establishment e questo la frena, soprattutto tra i giovani». La campagna però pensa che comincerà a vincere dal Nevada il 20 febbraio e la South Carolina il 27, perché nel resto del paese Sanders non è conosciuto e non ha organizzazione. Da quel momento in poi riprenderà la marcia verso la nomination e la vittoria a novembre. A meno che la salute, sempre una preoccupazione alla sua età, non la fermi.
Se vincerà, i posti assicurati sono due: Podesta capo dello staff, e Jake Sullivan consigliere per la sicurezza nazionale. Il resto è aperto. Per il vice si agita molto Julian Castro, che è bravo e ispanico, ma è troppo giovane e non farebbe vincere il Texas. L’alternativa più citata è il senatore della Virginia Tim Kaine: ha esperienza, equilibrerebbe il ticket, è stato governatore e porterebbe uno Stato decisivo a novembre. Per segretario di Stato si parla di Wendy Sherman, leader del negoziato sull’Iran, o l’attuale capo dello staff della Casa Bianca, Dennis McDonough. La campagna ha cominciato a discutere la linea di politica estera, e sul rapporto con l’Europa ha già un punto fermo: vuole una Ue forte, si opporrà con tutti i mezzi al suo indebolimento.
Il patto
Obama e Clinton hanno fatto un patto, perché entrambi hanno bisogno dell’altro: lui per non lasciare la Casa Bianca ai repubblicani; lei per ricevere almeno parte degli elettori liberal e giovani che lo avevano votato nel 2008, e adesso stanno con Sanders.
Bloomberg non viene considerato un avversario credibile, mentre tra i repubblicani l’unico che temono è Rubio. Però pensano che il Gop possa davvero arrivare alla Convention senza un candidato sicuro con la maggioranza. L’establishment repubblicano spera che dopo l’Iowa e il New Hampshire gli sconfitti comincino a ritirarsi, convergendo su Rubio, ma si rischia comunque che alla fine a decidere siano i superdelegati a Cleveland. I finanziatori repubblicani sono disperati perché non riescono nemmeno ad entrare in contatto con Trump: a lui i soldi non servono e quindi non gli parla neppure. I vertici del Gop sono quasi rassegnati a perdere a novembre. Cercano di farlo nel modo più dignitoso, per poi ricostruire il partito. Per questo puntano su Paul Ryan, che fra 4 anni potrebbe essere il candidato presidenziale su cui scommetteranno, per fare in modo che Hillary duri solo un mandato.