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 2016  gennaio 27 Mercoledì calendario

I fedeli di Gheddafi si turano il naso e lottano insieme all’Isis contro quelli che hanno distrutto il loro potere

Non tutti i militanti del Califfato sono fanatici jihadisti. Tutt’altro. Le tribù che furono fedeli a Muammar Gheddafi tendono oggi a vedere in Isis uno strumento di riscatto e vendetta contro le milizie rivoluzionarie nate al tempo della guerra nel 2011 e i Paesi Nato che furono loro alleati. Un fenomeno che ricorda da vicino quello dell’adesione dei sunniti baathisti iracheni prima ad Al Qaeda, negli anni seguenti l’invasione americana del 2003, e poi ad Isis. In entrambi i casi, forze sostanzialmente laiche, e comunque ideologicamente lontane dall’oltranzismo religioso del Califfato, si dimostrano disposte a «turarsi il naso» e accettare la lettura più wahabita dell’Islam militante pur di combattere ad oltranza i nemici che le hanno allontanate dal potere. È la logica della vendetta a tutti i costi, anche quello di aderire a una visione del mondo molto diversa dalla loro, ma comunque utile in questa fase dello scontro frontale.
I giornalisti libici ci segnalano che al momento sarebbero almeno 2.500 i combattenti di Isis a tempo pieno schierati nella regione di Sirte e sulla fascia costiera con i terminali petroliferi, verso Bengasi. Di questi il 70 per cento sarebbero volontari di Isis arrivati da Siria, Iraq, Tunisia, Yemen, Algeria, Marocco e i tradizionali serbatoi di reclutamento di Isis. Il restante 30 per cento sarebbero invece giovani libici. «Non a caso arrivano da Sirte, dai villaggi circostanti, Tarhuna, Bani Walid e dalla regione della capitale. Tutte zone dove Gheddafi godeva di ampia popolarità sino alla sua scomparsa nell’ottobre 2011. Utilizzano nomi di battaglia inventati sul momento, cercano di non farsi riconoscere per evitare che le loro famiglie possano venire perseguitate dai due governi di Tobruk e Tripoli. Temono le possibili rappresaglie della Nato, specie le squadre speciali inglesi e francesi. Anche l’Italia è vista come un nemico pericoloso», ci spiega un commentatore tripolino che non vuole essere identificato.
È dunque possibile paragonare la zona di Sirte, nella quale gli arsenali del vecchio regime sono ancora quasi intatti, alla provincia irachena di Al-Anbar, patria della minoranza sunnita dove il governo di Bagdad dalla seconda metà del decennio scorso non riesce ad esercitare la propria sovranità. Isis si presenta così sempre più come un fenomeno complesso, dalle molte anime, mosso da interessi locali, ma il cui collante principale è il diffuso odio verso l’Occidente accusato di aver destabilizzato i regimi del Medio Oriente a proprio uso e consumo.
Eppure, questa alleanza di interessi tra volontari fanatici dell’internazionale jihadista e forze locali decise invece ad aderire per convenienza evidenzia anche forti debolezze interne. Elementi della tribù Gheddafi contattati dal Corriere a Sirte non nascondono l’insofferenza per gli eccessi ideologici e religiosi dei loro alleati. Ai tempi del Colonnello non esitavano a consumare alcolici e divertirsi nei night club romani. Proprio come i baathisti iracheni sotto Saddam Hussein. «Quando avremo vinto ci libereremo di Isis», rivelano.
Ma non è affatto chiaro se alla fine ne saranno davvero capaci.