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 2016  gennaio 26 Martedì calendario

Il ritorno della gogna parte dai social network

Tutte le storie hanno due facce, compresa la storia dei social network, che da un lato aggregano masse d’utenti anonimi in giganteschi cartelli d’opinione, le cui antenne captano talvolta segnali d’ingiustizia e vi mettono riparo, ma che dall’altro sono macchine che producono catastrofi, come racconta Jon Ronson nel suo I giustizieri della rete. La pubblica umiliazione ai tempi di Internet (Codice 2015, pp. 238, 21,00 euro, ebook 6,99 euro).
Sono storie da non dormirci la notte. Programmatori e accademici post-umani, da romanzo di fantascienza, che in odio agli «algoritmi di Wall Street» scatenano contro Ronson (un inglese, che con Wall Street non c’entra niente) un’identità robotica che tweetta a suo nome, ridicolizzandolo. Un giornalista freelance di Brooklyn che scopre una citazione inventata di Bob Dylan (giusto una frasetta, che rinforza la frase precedente, niente di che) nel libro d’un supergiornalista californiano e ne provoca il licenziamento e la rovina con un articolo on line.
Una ragazza che posta ai suoi 50 follower di Twitter una banale spiritosaggine sull’Aids mentre si sta imbarcando su un volo diretto in Sudafrica e che quando atterra a Johannesburg e riaccende lo smartphone scopre d’essere sotto attacco da parte d’oltre un milione di follower che la trattano da razzista e che non la molleranno finché, dopo essere stata insultata e minacciata di stupro per giorni e giorni, non sarà a sua volta licenziata e ridotta all’indigenza. Sono solo alcune delle storie raccontate da Ronson (ce ne sono di peggiori, ma non voglio rovinarvi la sorpresa). Tutti insieme, questi racconti d’umiliazioni pubbliche, di famiglie rovinate, d’esistenze sconvolte, di soprusi spacciati per opere di bene, di sadismo mediatico, d’inviti al suicidio, entrano a pieno titolo in un altro volume (dopo quello firmato da Jorges Luis Borges e tutti quelli scritti dall’inizio dei tempi) della storia universale dell’infamia.
È la gogna di ritorno. Abolita nel diciannovesimo secolo, quando chi la subiva era per lo meno condannato da un tribunale per quello che veniva considerato, all’epoca, un reato, la gogna pubblica è la forma assunta, ai tempi dei social network, dall’indignazione sociale, che non punisce reati, magari improbabili e tuttavia contemplati da qualche codice penale, ma che fulmina con l’anatema e l’ostracismo le semplici opinioni che una maggioranza bacchettona e irresponsabile giudica indegne. Seguono punizioni apocalittiche: la perdita del posto di lavoro, il ridicolo, una reputazione distrutta per sempre, il disprezzo universale.
Non c’è pietà per il preteso razzista o per il tizio che ha «inventato» una frase di Bob Dylan. Sono socialmente morti, e morti ammazzati, ma nessuno si sente responsabile del loro assassinio mediatico. Jihadi John, almeno, sgozza di persona i miscredenti, è responsabile di questo gesto, e sa che, prima o poi gli toccherà pagare il conto, mentre il milione di follower invasati che hanno distrutto la vita d’una ragazza in volo verso Johannesburg non sono responsabili che d’un tweet di poche righe, 140 caratteri massimo. Vero che anche il loro sassolino, unito a un milione d’altri sassolini, ha contribuito a lapidare l’infedele. Ma in fondo era solo un sassolino, dunque «la mia responsabilità è minima» e, detto ciò, si passi al prossimo linciaggio.
Anche noi potremmo raccontare qualcosa a Ronson: la storia del blog di Beppe Grillo che da folklore digitale, quando gli utenti furiosi mettevano tutt’al più alla gogna i loro nemici invisibili, si è trasformato, ridendo e scherzando, in una mezza apocalisse elettorale e sociologica, con i pentastellari che schizzano fuori dagli schermi di computer, tablet e smartphone per dilagare nella realtà come i fantasmi di Poltergeist, il film horror scritto da Steven Spielberg nel 1982. Oppure gli potremmo raccontare la storia di Tangentopoli e dell’informazione italiana negli anni Novanta dello scorso secolo. Potremmo raccontargli, a pensarci, anche la storia dell’informazione italiana del secolo presente, anzi proprio di questi ultimi anni e mesi, l’orrido piacendo.