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 2016  gennaio 26 Martedì calendario

«Il Crepuscolo degli Dei di Wagner parla di noi». Parola di Graham Vick

Buttato in pattumiera il podio di Wotan, lasciati Brünnhilde e Mime tra gli scatoloni, vestite in minigonna e shorts le tre figlie del Reno, trasformato il Nibelheim in una Borsa finanziaria con agenti cocainomani... Graham Vick continua a trovare in Wagner, nella sua bella musica e nella sua arte, sorprese e spaventi del nostro presente. E così, arrivato all’agognato finale della Tetralogia, sul palcoscenico del Teatro Massimo di Palermo, ha preparato uno spettacolo cupo e inquietante, disseminato di oggetti e riferimenti alla società contemporanea.
Il regista inglese, tra i più osannati della scena europea, innovatore intelligente, è dal 2013 l’artefice del Ring prodotto dal Massimo, da quando per l’anniversario wagneriano partì con Das Rheingold e Die Walküre. Poi la sospensione per la crisi del teatro, quindi la ripresa, lo scorso dicembre, col Siegfried e ora la puntata finale con l’attesissimo Götterdämmerung che il 28 gennaio inaugura la nuova stagione del teatro (era in costruzione quando Wagner passò nel 1881 a Palermo): una superproduzione, con Stefan Anton Reck sul podio e in scena Christian Voigt (Siegfried), Eric Greene (Gunther), Sergei Leiferkus (Alberich), Mats Almgren (Hagen), Irene Theorin (Brünnhilde), Elizabeth Blancke-Biggs (Gutrune), Viktoria Vizin (Waltraute). «È la fine di un viaggio lungo e complicato, specie per i momenti difficili che le fondazioni liriche italiane stanno attraversando. Ma anche questo è per me interessante: fare un capolavoro che guarda il nostro presente, accettando il fatto che non ci sono soldi e dunque bisogna essere essenziali», dice subito Graham Vick, cui non manca il britannico sense of humour. Con semplicità e coraggio il regista ha visto nell’aura mitologica del Ring, nei miti celtici da cui Wagner trasse la nuova mitologia in cui racchiudere i destini umani e divini, il Bene e il Male, qualcosa di tuttora conturbante per noi. «Tutto il Ring è una storia di padri e figli, di sesso, potere, intrighi, cioè la storia di tutte le famiglie. E in particolare il Götterdämmerung racconta l’ansia che stiamo gettando sulle nuove generazioni». Il Crepuscolo degli dei inizia dove
Sigfried si era concluso: innamorati, Brünnhilde e l’eroe innocente qui si scambiano i doni, lei il cavallo fatato Grane e lui l’anello del Nibelungo, prima di riprendere il viaggio. Ma il Male non è sconfitto: gelosie, crudeltà, sete di potere trascinano tutto verso la fine. Sigfried muore, Brünnhilde pure, inconsapevole di aver tradito l’amato, e il Walhalla viene distrutto dal fuoco.
«Quella caduta degli dei è nostra. È la caduta della nostra civiltà», spiega Vick. «Nel Crepuscolo c’è tutto quello che vediamo intorno a noi, un mondo in decadenza, che ha rinunciato all’amore, è sopraffatto dalla violenza, dalla inutile voglia di successo, dall’egoismo che diventa disperazione, dalla sete di potere e di fama, da quei quindici minuti di tv dove tutti vorremmo essere celebrati e che sono il valore per cui saremmo disposti a vendere l’anima di una sorella o di un fratello. La malattia del nostro tempo. Il mondo che abbiamo costruito è troppo brutto per sopravvivere, anche per gli dei». E il mito? «Non credo che il pubblico mastichi i miti nibelungici. Però quei miti sono universali, dunque è importante esaminarli nel rapporto con noi. Per questo ho immaginato questa Tetralogia come fosse una meravigliosa invenzione teatrale».
Era partita dal palcoscenico vuoto e dal teatro tutto illuminato del primo capitolo, fino ad arrivare a questo quarto e ultimo in cui riconosciamo luoghi squallidi, uomini torvi e un mondo cupo e buio. «La Tetralogia non è come Parsifal, c’è poco sole, è scura, è la morte di Dio».
Nemmeno il fuoco finale farà luce: se Wagner lascia la possibilità di una redenzione attraverso il fuoco che incenerisce ma purifica, Vick è più crudele. «Difficile pensare a una redenzione quando l’unico amore è per noi stessi. Guardiamoci intorno: che futuro stiamo dando alle nuove generazioni? Mettiamo in dubbio Dio, abbiamo poca fiducia perfino in noi stessi, siamo avari, non paghiamo le tasse. La cosa che mi colpisce del mio Paese, per esempio, è che chi si unisce ai jihadisti sono inglesi tra i 15 e i 29 anni, nuove generazioni che si sentono escluse dal futuro che noi abbiamo creato. Wagner ci mette di fronte a questo, affronta con grande coraggio il cuore umano, anzi usa la mitologia per entrare nella parte oscura della nostra anima. Per questo ho per lui una passione sconfinata, ma poi lo odio più che posso: per la profondità dell’anima dove mi porta, là dove senti che è scomodissimo essere».