ItaliaOggi, 23 gennaio 2016
Montanelli copiò il dossier dei servizi segreti contro Mattei?
Dopo il dossier Mitrokhin, ecco la Lista Fasanella. Nel primo erano indicati i collaboratori italiani del Kgb, il servizio segreto della Russia comunista, negli anni della guerra fredda. Uno scandalo politico scoppiato nel 1999, a cui seguirono lunghe indagini, prima da parte di una commissione parlamentare (2002-2006), presieduta da Paolo Guzzanti, e poi della procura di Roma, finite nel nulla. Giusto per la cronaca, la commissione Guzzanti si occupò anche di Aleksandr Litvinenko, l’agente russo avvelenato a Londra con il polonio: un omicidio che solo ora gli inglesi attribuiscono a Vladimir Putin, ex agente del Kgb.È presto per dire se la Lista Fasanella (il neologismo è mio) farà la stessa fine. Ma anche qui c’è di mezzo un elenco, con centinaia di nomi, che farà discutere. Merito di Giovanni Fasanella, ex di Panorama e dell’Unità, e di Mario José Cereghino, esperto di archivi anglosassoni, i quali hanno appena pubblicato un libro bomba per il giornalismo italiano: Colonia Italia, edito da Chiarelettere (483 pagine). Basato su documenti d’archivio desegretati dagli inglesi, sui quali gli autori hanno lavorato per sei anni, il volume racconta come molte grandi firme del giornalismo italiano, dall’inizio del Novecento fino agli anni Settanta, sono state «attenzionate, influenzate, e in qualche caso finanziate, dai servizi di intelligence inglesi».
Il metodo era molto semplice: di concerto con la politica del governo di Londra, l’Information research department (Ird) preparava dei dossier riservati su questioni politiche ed economiche, e li passava a un gruppo di giornalisti italiani amici, selezionati con cura, con l’obiettivo di influenzare e condizionare attraverso la comunicazione di massa le classi dirigenti (politici e manager) e l’opinione pubblica, spianando così la strada agli interessi economici della Gran Bretagna sullo scacchiere del Mediterraneo. Già in un libro precedente (Il golpe inglese), Fasanella e Cereghino avevano spiegato l’enorme importanza che la Gran Bretagna ha sempre riservato ai rapporti con l’Italia, prima e dopo il fascismo, allo scopo di avere un alleato sicuro, o quanto meno poco ingombrante, sulle rotte petrolifere verso il Nord Africa e il medio Oriente. Una strategia che non poteva prescindere da un controllo occulto del mondo giornalistico e culturale, come conferma un appunto rinvenuto negli archivi dell’Ird, datato 3 marzo 1948: «L’Italia è l’obiettivo primario delle nostre nuove strategie propagandistiche».
Tra i molti nomi di giornalisti italiani attenzionati fino al 1980, elencati nell’appendice del libro con a fianco la scheda personale compilata dall’Ird, spiccano i direttori del Corriere della sera, da Luigi Albertini in poi. Ci sono poi numerose grandi firme ormai scomparse, mentre altre sono ancora in attività. Nei loro confronti, precisa una nota, «l’editore e gli autori non hanno alcun intento accusatorio. La pubblicazione degli elenchi ha il solo scopo di esporre com’era (e forse com’è) articolata e diffusa la macchina d’influenza britannica in Italia». Niente nomi in questa nota, dunque. Tranne uno, il più celebre: Indro Montanelli.
Per diverse pagine, Fasanella e Cereghino raccontano come la campagna di stampa che Montanelli condusse sul Corriere della sera nel 1962 contro Enrico Mattei, fondatore dell’Eni, cavalcasse gli stessi argomenti cari agli inglesi. Un rapporto del ministero dell’energia britannico dello stesso anno affermava: «In molte parti del mondo, la minaccia dell’Eni si sviluppa nell’infondere una sfiducia latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali, a scapito degli investimenti e degli scambi delle imprese britanniche». Era accaduto infatti che Mattei, violando la prassi abituale degli accordi fifty-fifty tra compagnie e stati petroliferi arabi, aveva introdotto con l’Eni la regola del 75-25, molto più vantaggiosa per i paesi petroliferi. Un colpo durissimo per le compagnie inglesi e per il governo di sua maestà. Tanto che il Foreign Office osservò: «Vi è il rischio che il Vicino Oriente ci sfugga di mano». E Londra non poteva permettere che «degli intrusi come l’Eni sovvertano le regole di un’area vitale per la nostra economia».
Era l’estate del 1962. E il direttore del Corriere della sera, Alfio Russo (il suo nome è nelle liste Ird), affidò a Montanelli il compito di demolire la figura manageriale e politica di Mattei, con una serie di cinque grandi articoli, il primo dei quali uscì il 13 luglio. Vasto il repertorio delle accuse: «Mattei ha impedito all’iniziativa privata italiana e straniera, con la complicità di De Gasperi e Vanoni, di sfruttare gli idrocarburi nella valle del Po». Nel terzo articolo, volto a demolire l’accordo 75-25, Mattei fu indicato come un nemico delle «sette sorelle», le grandi compagnie occidentali, soprattutto di quelle inglesi, a cui la Persia aveva revocato le concessioni petrolifere dopo l’accordo con l’Eni. Non solo: Mattei fu dipinto anche come un truffatore, poiché «in questa combinazione (il 75-25) c’è più fumo che arrosto». Insomma, una demonizzazione che impressionò l’Italia intera. Tre mesi e mezzo dopo (27 ottobre 1962), Mattei morì in un incidente aereo, tuttora misterioso. Dopo due indagini giudiziarie, «i responsabili dell’attentato risultano ancora ignoti».