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 2016  gennaio 24 Domenica calendario

A Kitzbühel, l’azzurro Peter Fill sale sul primo gradino del podio e con il premio «ci pago il mutuo»

C’è un momento in cui la vita ti ripaga dei sacrifici, degli allenamenti da fachiro, delle levatacce all’alba. Questo giorno per Peter Fill è arrivato ieri sulla pista dannata, la Streif di Kiztbühel. Al termine di una gara da paura: giù come birilli gli dei della libera, prima Streitberger poi Reichelt e Svindal (stagione finita). E lui che si proietta nell’Olimpo, volando come un angelo a gustarsi questa magica vittoria. L’Italia degli uomini-jet finalmente batte un colpo. Che è un colpaccio. Fill centra la prova perfetta proprio nel tempio dello sci alpino e cattura il gradino più alto del podio tra rinvii, raffiche di neve, cadute e polemiche per l’evento più importante della stagione, sospeso dopo i primi trenta atleti a causa della scarsa visibilità. La Streif è questa, incute terrore e crea idoli, è un viaggio all’inferno. Si salva solo chi sa dominarla. Peter ce l’ha fatta, a 33 anni e dopo 301 gare in Coppa del mondo si regala l’impresa più esaltante, il secondo successo della carriera dopo Lake Louise, in Canada, nel 2008. Ed è il terzo italiano a vincere qui dopo Ghedina nel 1998 e Dominik Paris nel 2013.
La carica del matrimonio
Una magia che quasi non sa spiegare: «Sono in forma, ma non chiedetemi perché sto sciando così, vado veloce anche sui piani... Sarà il matrimonio, mi ha dato carica. Manuela e io stiamo insieme da 15 anni e in estate abbiamo deciso di sposarci. A maggio nasce il secondogenito. Maschio o femmina? Non importa. Poi chissà, non ci fermeremo a due... Per me la famiglia è importantissima, sono cresciuto con questi valori». Nel parterre è un delirio di emozioni, tutti lo cercano, lo applaude anche l’attrice americana Gwyneth Paltrow. Fill è come in trance, nell’insolito ruolo di superstar, ma non smarrisce il buonsenso che da sempre lo accompagna: «Negli ultimi anni sono stato sfortunato, nel 2011 si è ammalato mio padre e non avevo la testa libera, poi gli infortuni. Insomma, mi sentivo in credito con la Coppa del mondo». Questo successo, oltre alla gloria, vale 70.300 euro, il prezzo di un’auto di lusso. «Io invece li userò per il mutuo della casa a Castelrotto, così pago un po’ di debiti. È la mia vittoria più bella ma non per i soldi, perché siamo a Kitzbühel», dice Peter sorridendo. 
«Un regalo a mio figlio»
È un campione normale Peter, un uomo realizzato, padre di Leon che proprio ieri ha compiuto due anni. «Gli ho fatto un regalo, peccato che sia troppo piccolo per apprezzarlo. Però un giorno potrò fargli vedere il mio nome scritto sulla funivia, l’ho fatto anche per lui». Ha tirato al massimo Peter. Sapeva di rischiare: «Se non vai oltre il limite non vinci. Io sull’Hausbergkante ho chiuso gli occhi... Lo sci è così, un giorno sei a terra e un altro sei al settimo cielo». Tre anni fa l’azzurro è caduto in superG all’uscita della Steilhang, strappandosi i muscoli addominali. Ha saputo rialzarsi ma ha imparato a sue spese quanto sia faticoso quell’urlo «yaaa» con le braccia alzate, che ora ha mille significati. «Si è avverato il mio sogno più grande, è una storia bellissima e non mi aspettavo di scriverla da padre. Enzo Ferrari diceva che i piloti perdevano mezzo secondo a figlio? Ma io scio, non corro in Formula 1 e non ho alzato il piede...». In piazza l’inno italiano accompagna la premiazione, il trofeo dell’Hahnenkamm è suo, la festa è azzurra, esplodono i botti, Kitzbühel a Peter non è mai sembrata così calda.