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 2016  gennaio 24 Domenica calendario

Bertillon, il maestro della scena del crimine che ha ispirato Csi

 
L’uomo disteso sul pavimento, davanti a quello che sembra un sipario, è una prova scientifica e uno spettacolo. È un esperimento, un test, e al tempo stesso è pura illusione della realtà, un’illusione che aspira a essere obiettiva. Una messa in scena che serve alla scienza. E che proprio per risultare utile alla scienza diventa una foto. Lo scopo è dimostrare l’efficacia del sistema di fotografia metrica sviluppato qualche decennio prima. Il corpo simula un cadavere. La macchina, montata su un treppiede, scatta.
L’immagine è del 1925. Fa da manifesto e viatico alla mostra
Sulla scena del crimine, un percorso in undici tappe su La prova dell’immagine dalla Sindone ai droni, come spiega il sottotitolo, che si inaugura mercoledì a Torino nella sede di Camera-Centro italiano per la fotografia (fino all’1 maggio). Sembra una inquadratura alla Hitchcock. Fa parte del materiale didattico di Rodolphe Archibald Reiss, svizzero di origine tedesca, esperto di tecniche fotografiche, il primo professore di scienze forensi, fondatore all’Università di Losanna, nel 1909, della prima scuola di polizia scientifica. Un pioniere del lavoro investigativo.
La folgorazione gli venne a Parigi, quando seguì uno stage con Alphonse Bertillon, classe 1853, “monsieur l’Identificateur”, il signore dell’Identificazione. Il pioniere più pioniere di tutti, che ha inventato il sistema di fotografia metrica. È lui, come dicono i suoi connazionali, che ha inventato anche la scena del crimine. Impaginandola in una foto. A cavallo fra Otto e Novecento, è stato forse il più famoso poliziotto al mondo. Lo riconosce Conan Doyle, che nel Mastino dei Baskerville, il romanzo in cui resuscita Sherlock Holmes, fa dire a un personaggio che monsieur Bertillon è il più grande esperto europeo in materia. La materia è l’identificazione dei criminali. A ventisette anni Bertillon ha ideato l’antropometria giudiziaria, la scienza che misura il corpo umano per riconoscere l’identità. In pratica, ha creato la polizia scientifica. Insomma, è il bisnonno di CSI e dei Ris. Se Gil Grissom e Catherine Willows hanno condotto per anni sui nostri schermi le loro indagini e se il Reparto di investigazioni scientifiche dei Carabinieri continua a condurle nella realtà, devono dire grazie a questo impiegato contabile della questura di Parigi, promosso capo del servizio fotografico nel 1882.
Nella Francia della Terza Repubblica, Alphonse Bertillon è uno svogliato giovanotto di buona famiglia, poco dedito allo studio. Abbandona l’università e il padre, fondatore e vicepresidente della Scuola di antropologia, lo raccomanda per un posto in questura, dove Alphonse entra nel 1879 come contabile. Gli affidano la trascrizione dei dati che i poliziotti rilevano durante gli arresti. È pignolo. Si accorge delle notevoli approssimazioni con cui si svolge il lavoro, con descrizioni vaghe, imprecise e insufficienti. Insiste per avere più particolari, così da poter schedare al meglio gli indagati. Cerca dei criteri di scientificità per catalogare gli arrestati e classificare i delinquenti abituali. Ci mette metodo e determinazione. Per stabilire l’identità dei delinquenti e colpi- re i recidivi, mette a punto una forma di analisi biometrica attraverso una serie di misurazioni particolari. Non solo statura e peso, come si registrava prima. Individua alcune parti del corpo, la fronte, il cranio, le tempie, l’orecchio destro, il piede sinistro, l’avambraccio, il dito medio. Registra misure e compila formulari. Aggiunge due fotografie, una di faccia e una di profilo. Annota eventuali cicatrici, tatuaggi e segni particolari.
In pochi anni il suo ufficio si trasforma nel primo laboratorio di identificazione criminale al mondo. È di un rigore pignolo e ossessivo. Insegue la perfezione. Per convincere superiori e magistrati, predispone il cosiddetto “ritratto parlante”, un documento che contiene una novantina di misurazioni del viso e del corpo. In questo modo si vanta di poter identificare in pochi secondi qualsiasi malvivente ricercato. L’antropometria giudiziaria diventa così non solo una tecnica, ma una filosofia. Il nome è aulico, giuridico- scientifico. In Francia la ribattezzano bertillonage. Evoca qualcosa fra la bighelloneria dei flaneurs e il bricolage. In effetti, è un po’ tutte e due le cose. Ma aspira a una scientificità e a una razionalità totali. Così nasce la criminologia. Con puntiglio visionario e fame di assoluto.
Ed è proprio fra visione e assoluto che si snoda la mostra torinese. Da Bertillon prende l’avvio e illustra diverse scene del crimine. A cominciare da quella Ur-scena che è la Sindone, il lenzuolo che è il negativo di una foto. E poi, la Grande guerra vista dall’alto, prima e dopo i bombardamenti; i ritratti delle vittime dei Gulag sovietici; i nazisti al processo di Norimberga davanti alle immagini delle loro vittime; le fosse comuni nel Kurdistan iracheno; le distruzioni di Gaza; il lavoro dei droni nella regione pachistana del Waziristan. Volti, corpi, territori, città. Documentati con una immagine che misura le prove e identifica le responsabilità.
E a proposito di identificazioni, pochi anni dopo l’invenzione di Bertillon, in soccorso al suo metodo, ma rimediando alle inadeguatezze e agli errori del bertillonage, arrivò la dattiloscopia. Ovvero lo studio delle impronte digitali. Che sono molto più efficaci per identificare le persone. Bastano i polpastrelli a dire chi sei. E lo dicono anche meglio.