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 2016  gennaio 25 Lunedì calendario

La vescica di ferro di Massimo Teodori. Intervista

«Sto pubblicando il mio quarantacinquesimo libro», mi annuncia Massimo Teodori e indica sul muro del suo ufficio il fac simile della copertina accanto a quelle dei suoi libri più recenti. Ormai ne sforna uno l’anno come se la fuga del tempo lo spronasse ad accelerare i ritmi di produzione.
Teodori ha 77 anni e una soffice capigliatura bianca di grande effetto. Nel resto, è come lo conobbi nel 1979 quando entrò per la prima volta alla Camera con altri dieci deputati radicali, record irripetuto. Le sue passioni sono intatte e la politica resta un chiodo fisso anche se, dopo avere trascorso tredici anni in Parlamento, lo ha ormai lasciato da un quarto di secolo. «Ti manca?», gli chiedo. «Mi manca la politica sul campo che è stata la linea costante della mia vita» e accenna a una bacheca su cui incombe una strabordante libreria che tappezza la stanza fino al soffitto. Il pannello allinea tutte le tessere di partito appartenute a Teodori. La prima è quella della Gioventù liberale, presa a 14 anni. Le altre, a decine, sono quelle radicali. Sembrano gagliardetti di un reduce dalle campagne militari. Sulla parete opposta, spiccano foto in bianco e nero dai tempi della politica all’università. Ce ne sono con Marco Pannella, Umberto Terracini, con Aldo Bozzi, gli amici intellettuali, istantanee del soggiorno in America.
Respiro una cert’aria di museo. Ho notato qualcosa di simile nello studio di Mauro Mellini, altro ex radicale intervistato tempo fa. È come se, con la diaspora del Pr, ciascun protagonista di quella storia cancellata, abbia sentito il bisogno di creare il suo personale sacrario. Orfani tutti di una casa comune, ognuno coltiva le proprie memorie da sé. «Di che parla il tuo libro in uscita da Marsilio?», chiedo. «Si intitola Obama, il grande, un bilancio positivo del presidente Usa. È così che sarà ricordato», dice. «Perlomeno è originale, in genere sono tutti concordi nel ritenerlo un pigmeo – osservo -. Certo che hai una curiosa vicenda intellettuale, tu coi tuoi yankee. Ti laurei in Architettura e finisci docente di Storia americana». Massimo sorride e racconta com’è andata. «Da architetto dovevo fare la carriera universitaria. Ero allievo prediletto di Bruno Zevi che diresse a me la sua ultima lettera, due giorni prima di morire. Nel 1966 andai negli Usa per prendere, come ho preso, il dottorato in Urbanistica e rimasi lì quattro anni. Scrissi un volume di grande successo sulla sinistra americana che il New York Times menzionò come “il libro del giorno”. Era la politica che, covata da tempo, prendeva il sopravvento in me. Tornato in Italia, non ho avuto più voglia di architettura». «Di te alla Camera – gli dico – oltre all’impegno nelle inchieste parlamentari su Sindona e sulla P2, è scolpito nella pietra l’ostruzionismo contro la legislazione d’emergenza anti Br. Parlasti diciassette ore di fila, senza muoverti dall’Aula. Ricordo la battuta con cui ti elogiarono allora: “Vescica di ferro”», rido. Ride anche lui e aggiunge: «La prova che se hai motivazioni e idee questi exploit sono possibili. L’anno prima avevo parlato 12 ore. Agitare il Parlamento era il ruolo di noi radicali». «Altri tempi, altro Pr?», stuzzico.
Teodori accetta subito la provocazione. «Il Pr – dice – scompare alla fine degli anni ’80, sciolto da Pannella per sostituirlo con un ectoplasma, il Partito radicale transnazionale. Una finzione. Non a caso, nelle elezioni nazionali, comparvero, al posto del partito, le Liste Panella o Pannella-Bonino». «Una fatua personalizzazione?», chiedo. «Una volta liquidato il Pr ed espulsa la sua classe dirigente, Pannella ha incentrato su di sé l’azione politica», racconta con foga crescente interrotta da una telefonata dell’editore che chiede due pagine aggiuntive per il libro che va in macchina. Trovata l’intesa, Massimo si rituffa nella discussione.
Per Pannella hai coniato l’epiteto, Egonarcisista.
«Descrive la sua politica egocentrica, successiva allo scioglimento del Pr. Per farla, si è avvalsa di una ristretta cerchia di persone, non leali ma fedeli. Ha usato gli scioperi di fame e sete come unico strumento di lotta politica».
Allo scopo?
«Di attirare l’attenzione su di sé, dando carattere personale alla sua azione. È come se dicesse: per cambiare il mondo non ho bisogno di un partito, basto io».
Il modo migliore per portare con sé nella tomba la propria creatura. Il Pr è mio e muore con me.
«Su questo ho scritto un fantaromanzo, firmandolo con lo pseudonimo Philip M.Godgift, in cui Panella muore e lascia a sua memoria una piramide in quel di Teramo, dov’è nato. Di lì, fuoriescono ininterrottamente le registrazioni dei suoi discorsi. Giorno e notte, per l’eternità».
Sembra il Cav: anche lui non vuole che Fi gli sopravviva.
«In Panella c’era grande sostanza politica ma l’ha sprecata».
Vuoi dire che il Cav manca di sostanza?
«Lui ha le sostanze. Molte sostanze, ma non politiche».
Pannella è un dispotico alla Beppe Grillo?
«Pure Grillo è privo di sostanza politica. Però, nella sua concezione che tutto debba passare da lui, c’è un parallelismo. Non politico ma psicopolitico-esistenziale».
Emma Bonino, da sempre spalla di Pannella, oggi è ai ferri corti.
«Bonino si è avvalsa della protezione di Pannella, come lui dell’efficienza di lei. È stato un matrimonio d’interesse, che ha giovato a entrambi».
E ora?
«L’interesse di Bonino di stare in una piccola congrega senza peso, non c’è più. E il matrimonio si è sciolto».
Che rapporti hai con l’uno e con l’altra?
«Non ci frequentiamo».
Come giudichi la Seconda Repubblica?
«Peggio della Prima che pure giudico malissimo».
Principale protagonista è stato Silvio Berlusconi. Ti ci sei avvicinato anche tu.
«Ho sostenuto il sistema dell’alternanza tra destra e sinistra che considero il sale di una democrazia. Sul piano personale, ho sperato che Berlusconi incarnasse una prospettiva liberale ma l’illusione è durata poco».
Non girarci attorno: sei stato candidato con Fi e trombato.
«Nel 2001, dopo avere più volte rifiutato, ho sciaguratamente accettato la candidatura Fi alle politiche. Da indipendente, sia chiaro, e con l’idea di costituire un mio gruppo liberale, una volta eletto».
Con riserva mentale, come si direbbe alla Sacra Rota.
«Infatti, giustamente, i berlusconiani mi hanno riconosciuto come corpo estraneo e mi hanno dato il bidone. E, con quel mondo, tutto è finito lì».
Matteo Renzi?
«Pure lui, non ha sostanza politica. Ha però il grande merito di avere sbaraccato la vecchia ditta comunista, cosa mai riuscita prima e di avere affrontato con coraggio temi tabù come il lavoro».
Durerà?
«Non ha una visione del futuro dell’Italia. Difficile che vada lontano».
Che pensi dell’ultrapresenza Ue nella vita degli Stati nazionali?
«C’è stata un allargamento spropositato dell’Unione. Un’Europa a due velocità funzionerebbe meglio. L’Italia dovrebbe stare tra le prime, come nella vecchia Cee dei Sei. Va pure considerato che la Germania di oggi non è quella di cinquant’anni fa e che non si può accettarne l’egemonia indiscriminata».
Altro grande fenomeno: l’emigrazione musulmana. Ne saremo travolti?
«Se questo significa che annullerà i nostri caratteri identitari, assolutamente no. È storicamente impossibile».
Mi sembri ottimista, vista l’irruenza ideologica e demografica dell’Islam. «Dammi retta, parlo da storico».
Grande impegno radicale fu quello per la giustizia giusta. Risultati?
«Battaglia sacrosanta che il Pr, con il suo scioglimento, non ha potuto portare a termine. Col solo Pannella ci si è ristretti all’obiettivo – civilissimo ma limitato – di carceri più umane. È un segno preciso».
Cioè?
«Finché i radicali erano un partito hanno innescato le energie delle forze laiche e liberali, vincendo grandi battaglie come il divorzio e l’aborto. Ma una volta ripiegati sul solo Pannella, l’efficacia radicale è scomparsa. E, con essa, le forze laiche riformatrici».
Nicola Cosentino è in carcere da due anni senza sentenza.
«Un puro sopruso. Come lo è ogni carcerazione preventiva che duri più dei pochi giorni che la sana Inghilterra ci ha insegnato».
Dei politici che hai conosciuti nel passato, il più grande?
«Grande fu Alcide De Gasperi. Ma anche Giuseppe Saragat che nel ’47 ebbe il coraggio della scissione socialista contro il Fronte popolare e della scelta occidentale. Il terzo è Bettino Craxi che completò l’autonomia del Psi e fu ripagato come sappiamo».
A quale politico di oggi va la tu stima?
«Stendo un velo pietoso su tutti».