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 2016  gennaio 25 Lunedì calendario

Intervista a Franca Leosini, infastidita quando la chiamano “signora”: «La signora sta in salotto, la giornalista cerca le notizie per strada»

Fenomenologia di Franca Leosini. Non più professionista ma archetipo. Venerata pure all’estero, svariati fan club, un seguito social da diva, icona gay quanto la Carrà, al centro di ossequio, quasi unanime. Le hanno dato dell’«immensa», la studiano i giapponesi, volevano fare una serie con lei nei suoi stessi panni. A guardarla è una bella signora, elegante, impeccabile. Per lavoro entra nei meandri più reconditi dell’animo di un assassino, usando lo stesso garbo con il quale ti offrirebbe un pasticcino, s’informa su fendenti, sangue, tracce seminali, inchioda l’avversario e sempre sorride. Ha inventato e conduce Storie Maledette, giovedì su Rai 2 in prima serata, senza fronzoli, trasversale, budget risibile, lei e l’altro dietro le sbarre. Un successo in numeri e sempre scoop.
Leosini, l’intervista a Rudy Guede ha fatto scalpore, ventimila tweet in dieci minuti, stralci del programma acquisiti dagli avvocati, forse una revisione del processo per l’omicidio di Meredith Kercher...
«O almeno Guede lo chiederà. L’interesse è nato anche dal fatto che sia Raffaele Sollecito sia Amanda Knox hanno parlato per otto anni, tanto è durato l’iter. Guede mai, prima».
Lei è molto rigida nel criterio di scelta dei casi da trattare?
«Seguo una mia linea e metto paletti molto precisi. Mai persone che abbiano già parlato prima, mai storie di persone che uccidono solo per soldi, mai storie di pedofilia e mai serial killer».
Rigida anche nelle apparizioni televisive in studio altrui.
«Vado poco perché odio la tuttologia. Pur interessandomi di politica e di economia, penso che un professionista debba mantenersi nel perimetro della propria competenza».
E anche nel suo ci va cauta, tre puntate in tutto, troppo poco.
«Tre puntate, ognuna costruita da me come fosse un film; grande fatica e gran lavoro, sono l’autore unico ed è come se scrivessi un romanzo, lavoro 10 ore al giorno, studio fino allo sfinimento oltre 4.000 pagine di atti e scrivo 200 pagine di domande. Io voglio capire, dubitare e raccontare. Così ho preparato la storia di Celeste che ha ammazzato il marito in casa con la complicità dell’amante e la storia dell’avvocato di Pesaro che sfregiò con l’acido la donna con la quale aveva una relazione».
Che cosa la infastidisce?
«Quando sul lavoro mi chiamano “Signora”. La signora sta in salotto, la giornalista cerca le notizie per strada».
Perché si fidano di lei?
«Perché garantisco il rispetto di tutto e di tutti. Così mi accosto ai miei intervistati, senza giudizio e senza pregiudizio. Quello che voglio è affondare lo sguardo nelle radici di una vita per trovare quello che può portarci all’orrore di un gesto che ci assomiglia».
Suoi casi hanno ispirato due film di Matteo Garrone.
«Sì, L’imbalsamatore si rifà al nano di Terni e Primo amore al collezionista di anoressiche. Peraltro Garrone è un grande regista».
Un errore che non si perdona?
«Aver creduto nel pentimento di Angelo Izzo (tra gli autori della strage del Circeo, ndr)».
Dove nasce Franca Leosini?
«A Napoli. Ho iniziato dalla carta stampata dal culturale dell’Espresso, poi passata al Tempo, sempre cultura. Alla tv ci sono arrivata per chiamata diretta. Da commentatrice seguivo l’omicidio di Anna Grimaldi, una storia tutta interna al Mattino. A Telefono Giallo di Augias mi chiesero di occuparmene. Feci anche altre inchieste e Guglielmi mi fermò. Così mi venne l’idea di Storie Maledette».
Contenta di essere icona gay?
«Felicissima. Hanno fatto una festa per me alla Muccassassina di Roma: c’erano centinaia di magliette con il mio volto. Orgogliosa e gratificata».
E la serie su di lei?
«Mi viene da ridere al pensiero, volevano fare una fiction su di me, io dovevo interpretare me stessa, una sorta di Jessica Fletcher...».
Suo marito e le sue figlie che ne pensano?
«Nessun eroe è tale per il suo maggiordomo, diceva Oscar Wilde. Mi amano come Franca ed è quello che voglio».