La Stampa, 25 gennaio 2016
Tags : Anno 1901. Raggruppati per personaggi maschili. Italia. Giornalismo
La riscoperta di Ernesto Ragazzoni, il giornalista anarchico, beffardo e un tantino ubriacone protagonista del romanzo di Malvalvi
Qualche lettore di Buchi, il romanzo di Marco Malvaldi (Sellerio) ormai da settimane in classifica, si sarà chiesto se uno dei personaggi, il giornalista Ernesto Ragazzoni inviato della Stampa a Pisa per seguire una travagliata rappresentazione della Tosca (siamo nel 1901) al cospetto del re, non sia per caso un’invenzione estrema e grottesca dello scrittore. La quarta di copertina ci avverte del contrario, ma il sospetto che Malvaldi ci abbia messo del suo resta legittimo, perché il giornalista anarchico, beffardo e un tantino ubriacone che grazie al suo spirito d’osservazione e all’abitudine di origliare dietro le porte dà un decisivo contributo alla soluzione del giallo pare una tipica creazione del romanziere toscano.
Quella sua tendenza poi a recitare in stato di allegria etilica poesie divertenti e beffarde, magari crollando dal tavolo a metà strofe, insomma, potrebbe essere benissimo un’enfatizzazione romanzesca. Tipi così, saranno mai esistiti davvero? La risposta è affermativa. Il Ragazzoni che declama Buchi nella sabbia (da cui il titolo del libro) è proprio l’irrefrenabile giornalista-poeta, nato a Orta nel 1870, che dal 1901 al 1920 fu per molti una sorta di leggenda vivente. Un bohémien inguaribile. «Se ne vedono nel mondo / che son osti... cavadenti / boja, eccetera... (o, secondo / le fortune grand’Orienti). / C’è chi taglia e cuce brache, / chi leoni addestra in gabbia, / chi va in cerca di lumache... / Io... fo buchi nella sabbia»: proprio come dice una delle sue ballate più famose.
Licenziato e ripreso
Proprio buchi non furono, visto che ne parliamo ancora (e se le sue poesie, pubblicate postume in volume, hanno avuto un buon successo in teatro, per esempio con Gassman e Riondino) ma certo la parabola di Ragazzoni fu quella di un intellettuale come si diceva allora «scapigliato», anarchico, nietzscheano e sempre all’opposizione. Ma anche un grande giornalista, che inventò da Parigi le prime corrispondenze «di costume» salvo poi ridurre a una breve di cronaca la notizia dell’identificazione del Polo Nord; che raccontò dalla Francia la Grande guerra con un’intensità e un realismo ineguagliabili; che alternò scoop e beffe, tanto da essere più volte licenziato – e ripreso – dal direttore e proprietario del giornale, il senatore Frassati.
Fu persino direttore, per un breve periodo, di un foglio conservatore e monarchico di Novara. Perse il posto perché pubblicò in prima pagina un attacco a tutto l’establishment cittadino, dal titolo «Odore di muffa». Quando morì, rientrato da poco da Roma, dove lavorava, nella casa di Torino, in via Goito 6 (era il 5 gennaio 1920) i colleghi pubblicarono un ampio e sofferto necrologio, dove veniva ricordato come una sorta di maestro stravagante, «meravigliosamente povero e ricco, paziente, rassegnato, modesto come uno schiavo del lavoro notturno: e del proprio pubblico fu signore generoso, sorridente e gentile».
«La rotativa s’affretta»
Erano tempi in cui nei giornali si lavorava soprattutto di notte, e quella antica atmosfera resiste in alcuni dei suoi versi più belli e melanconici: «È finita. Il giornale è stampato, / la rotativa s’affretta, / me ne vado col bavero alzato, / dietro il fumo della sigaretta». Ma come ogni melanconico, Ragazzoni rideva, e faceva ridere. Non solo comportandosi in modo alquanto provocatorio, come mostrarsi in pubblico in pantofole (in un tempo in cui era inimmaginabile che un gentiluomo uscisse senza cappello), ma soprattutto prendendosi gioco di tutti, proprio tutti, i luoghi comuni.
La sua ballata più celebre è l’Elegia del verme solitario (ne pubblichiamo qui a fianco la prima e l’ultima strofa), quasi un’apoteosi autoironica del superuomo nietzcheano: che suscitò la riprovazione di Eugenio Montale. I versi (ivi comprese le traduzioni da E. A. Poe) furono raccolti in volume nel ‘27, per «i torchi di Giovanni Chiantore», editore scolastico torinese, ed ebbero una certa fama. Il poeta ligure lo liquidò con una definizione sprezzante: «Dovette la sua autentica ma limitata reputazione a poesie che non sono molto lontane dal Prode Anselmo di Visconti Venosta». Ma per una volta si sbagliava.
«Che bel funerale!»
Da un punto di vista critico, il Ragazzoni poeta è forse da studiare ancora in modo sistematico. Da quello dei lettori non sono mancate rispetto a quell’ormai prezioso volumetto nuove e accurate edizioni. E il suo ritorno nelle pagine di un romanzo decisamente popolare è probabilmente una delle opzioni che aveva preso in considerazione, quando non mancò di ironizzare sul proprio funerale: «Sei porcellini tutti i verde e giallo / trascinino la mia spoglia mortale / e Francesco Pastonchi, alto a cavallo / proclami: Che bel funerale!». Pastonchi era il poeta accademico e ufficiale, non poteva che essere un bersaglio di Ragazzoni. Il quale quanto a sé stesso, dettò anche l’epitaffio: «D’essere stato vivo non gl’importa».
Andrà ricordato in ogni caso che il giallo di Malvaldi mette in scena un assassinio misterioso durante la rappresentazione di Puccini, dove com’è noto Mario Cavaradossi viene fucilato dagli armigeri del Papa mentre la povera Tosca, ingannata dal perfido Scarpia, ritiene si tratti di una finta esecuzione, con fucili caricati a salve. Nel romanzo qualcuno spara davvero, e il tenore resta stecchito. Ebbene, è accaduto, nella realtà, vent’anni fa a Macerata. Il tenore Fabio Armiliato venne ferito a un piede, a causa di una carica eccessiva che ha «sparò» uno stoppino come un proiettile. Sangue dovunque, malori in sala per lo spavento, mentre la divina Raina Kabaivanska continuava a cantare, assai turbata. Ragazzoni si sarebbe divertito come un pazzo.