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 2016  gennaio 25 Lunedì calendario

Chi sono e cosa fanno i faccendieri?

Triangolatore, mediatore, brasseur d’affaires (uomo d’affari), pontiere, sviluppatore, facilitatore, risolutore, suggeritore. Tutto, tranne che faccendiere. Quando nelle redazioni bisogna definire uno come Flavio Carboni di solito scatta la rincorsa al sinonimo morbido. Perché i faccendieri sono uomini permalosi: non si sa bene che lavoro facciano (figuriamoci, poi, spiegarlo ai lettori col sinonimo di triangolatore), epperò s’incazzano se li inchiodi alla loro realtà, quella di spicciare faccende e traffici di vario genere e a livelli più o meno alti, più o meno bassi, nascosti negli interstizi del Potere. La storia dell’Italia repubblicana, purtroppo, è segnata da questo termine: faccendiere. Entrato in tante inchieste e in troppi misteri. A distanza di quasi quarant’anni, sembra incredibile ritrovare il nome di Flavio Carboni in prima pagina. Così come sembra incredibile che Pier Luigi Boschi, il banchiere papà della ministra Maria Elena, la prediletta del governo Renzi, lo abbia incontrato per chiedergli consigli su Banca Etruria.
 
Dal “suicidio” di Calvi al papà della ministra
Carboni arriva dalle tenebre più profonde della Prima Repubblica. Si professa imprenditore, immobiliarista. Il suo nome rimbalza attorno alle mille inchieste del crac del Banco Ambrosiano e del “suicidio” londinese di Roberto Calvi. La mafia, la massoneria deviata della P2 di Licio Gelli, la banda della Magliana, i Servizi, il potere democristiano di Andreotti, quello peggiore. Carboni “scortò” Calvi a Londra. È stato assolto dalle accuse di omicidio ma per comprendere il tragicomico profilo di questo personaggio, è fondamentale leggereLa borsa di Calvi di Mario Almerighi, in cui si racconta la cronaca ora per ora dell’ultimo viaggio del banchiere ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri. Carboni è pregiudicato: 8 anni e 6 mesi per il fallimento dell’Ambrosiano. Nella Seconda Repubblica si è agganciato con successo al carro berlusconiano. I suoi rapporti vanno da Marcello Dell’Utri, oggi in carcere per mafia, a Denis Verdini, plurinquisito e plurimputato. In particolare, l’amicizia con Verdini, è stato rivendicata da Carboni in una recente intervista per spiegare i suoi rapporti con Palazzo Chigi. L’ex berlusconiano Verdini è infatti la nuova punta di diamante del renzismo. Insieme, i due, “Flavio” e “Denis” sono anche legati dal processo sulla P3 e sull’affare dell’eolico in Sardegna.
 
Il postino andreottiano alla corte di Berlusconi
La conoscenza è potere e il faccendiere sveglio usa qualsiasi notizia per i suoi traffici oscuri. È questa la regola principale di Luigi Bisignani, già piduista e nato come “postino” di parte della maxi-tangente Enimont, quando era “cuoco apprendista” della bassa cucina andreottiana. Condannato a due anni e sei mesi, si ricicla nel berlusconismo grazie a Gianni Letta, il Gran Visir dell’ex Cavaliere, l’uomo che “romanizza” la rivoluzione liberale. I campi arati da Bisignani sono il Vaticano, le nomine nelle grandi aziende (con una preferenza per l’Eni), la burocrazia ministeriale. Il suo ruolo politico è svelato dall’inchiesta P4: consigliava o ispirava ministri e ministre del Pdl quando Berlusconi premier era sotto scacco per gli scandali a luce rossa. Arrestato, patteggia una condanna a un anno e sette mesi. È coinvolto anche nelle indagini calabresi di Why Not. Due volte pregiudicato, è finito di nuovo in manette nel 2014 per una storia di appalti a Palazzo Chigi. Recidivo, insomma. Una volta uscito dall’ombra, a causa della P4, si è travestito da giornalista. Anche lui, come Carboni, è amico di Verdini e nella fase preparatoria del Vatileaks 2, per fare un altro esempio, ha frequentato la nota Francesca Chaouqui.
 
Le specialità piduiste, stragi comprese
Dopo Carboni e Bisignani, è obbligatorio ricordare, a imperitura memoria, le gesta di Licio Gelli, il Venerabile della P2 morto poco più di un mese fa alla veneranda età di 96 anni. Se non ci fosse stata la P2, non avremmo mai avuto il faccendiere tipo Carboni o Bisignani. Gelli è l’inventore di un metodo trasversale e paramassonico, consacrato nelle liste di affiliati scovate all’alba degli anni ottanta a Castiglion Fibocchi. Il Venerabile aveva l’occhio lungo e non si limitò mai al mero gestionismo, alla quotidianità del potere. Con il piano di Rinascita anticipò il programma “riformista” prima di Berlusconi poi di Renzi: spinta contro sindacati e magistrati, bipolarismo e abolizione del Senato. Memorabile una delle sue ultime frasi sulla commistione tra istituzioni e poteri invisibili, ai tempi della Dc: “Io avevo la P2, Cossiga la Gladio, Andreotti l’Anello”. L’Anello è un’organizzazione scoperta da poco, su cui la storiografia è ancora limitata. L’Arezzo gelliana, per una mirabile coincidenza del destino, è l’epicentro di vari guai del giglio magico renziano. Il gellismo ha offerto un profilo globale del faccendiere. Un’altra specialità è il depistaggio, con relative collusioni terroristiche. E qui si entra nel sanguinoso capitolo di stragi e attentati. Il nome simbolo è quello di Francesco Pazienza, super agente segreto con più dieci anni di carcere (scontati) per il depistaggio sulla strage di Bologna, il crac del Banco Ambrosiano e associazione per delinquere.
 
La bandiera socialista di Zampini e Lavitola
Adriano Zampini era socialista e la sua spregiudicatezza fu etichettata come “genialmente abietta”. Diede il nome a uno scandalo che travolse la giunta di Torino. Era il 1983, molto prima di Tangentopoli. Dopo il carcere, scrisse Io corruttore, una sorta di vademecum del faccendiere. Prima regola: “La corruzione è un virus che colpisce tutti”. Il problema è il prezzo: “Bisogna credere in quel che si fa. Ogni persona che ho incontrato in vita mia era in vendita, mi è capitato solo un caso dove ho fallito: non sono stato attento. Bisogna essere dei fini psicologi”. Oltre trent’anni dopo, a tenere alta questa particolare bandiera socialista è stato il napoletano Valter Lavitola, il cui nome s’impose per i traffici caraibici attorno ai documenti della casa finiana di Montecarlo, quella del famigerato cognato Tulliani. L’era di Lavitola alla corte berlusconiana si è conclusa malamente: estorsione allo stesso B., appropriazione indebita di fondi pubblici destinati al quotidiano L’Avanti, truffa e bancorotta, corruzione internazionale. Tra processi e condanne, giova ricordare il suo ruolo nella compravendita di senatori che portò alla caduta dell’ultimo governo Prodi, nel 2008.
 
Il banchiere divino e il grande burattinaio
Il faccendiere italiano è un tipo multiforme. Ha tantissime facce. Finanche quella del banchiere. Francesco Pacini Battaglia detto Chicchi oggi ha quasi 82 anni e cinque by-pass al cuore. Aveva una piccola banca a Ginevra, la Karfinco, dove depositare e smistare 500 miliardi di lire di fondi neri dell’Eni. Lo confessò ai magistrati milanesi di Tangentopoli. Il pool di Milano lo definì con enfasi solenne come il banchiere “un gradino sotto Gesù Cristo, un gradino sotto Dio”. Tangenti, appalti, partiti. Condannato a sei anni per appropriazione indebita. Il “dialogo” tra finanza e politica è da decenni il terreno prediletto anche del siciliano Ignazio Moncada, amico di tanti potenti tra cui l’ex craxiano Giuliano Amato, il candidato al Quirinale, poi saltato, del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Agente segreto, consulente, manager di una società del gruppo Finmeccanica. In un’inchiesta recente è definito come un “grandissimo burattinaio”.
 
Kgb e Telekom Serbia, l’ora dei millantatori
Capita, infine, che il faccendiere mostri un volto cialtronesco, acquisendo una fama di millantatore. Gli ultimi sviluppi inglesi del caso Litvinenko richiamano alla memoria la sagoma di Mario Scaramella, faccendiere napoletano e consulente della commissione d’inchiesta parlamentare sul dossier Mitrokhin. Scaramella rivelò che Romano Prodi era stato un agente del Kgb. Prodi fu anche uno dei bersagli del “conte” Igor Marini, che lo accusò di corruzione per Telekom Serbia, enorme bufala mediatica. Nome in codice del Professore? Mortadella, ovviamente.