la Repubblica, 25 gennaio 2016
Xi prende in mano il calcio. Il presidente cinese vuole una nazionale che vinca i Mondiali e per farlo parte dalla scuola, con l’ora di pallone
Il “caro vecchio zio” Xi adora davvero il calcio, e in un modo che voi umani non immaginereste. Sulla scrivania del suo studio, da dove prende decisioni che avranno qualche ripercussione sul mondo, ci sono sei fotografie: quattro ritraggono la sua famiglia, ma nelle altre due c’è lui, cappotto e mocassini, che palleggia con un grande pallone bianco sull’erba di Croke Park, Dublino, durante una visita di Stato, circondato da dignitari entusiasti. Sua moglie, con un sorriso che ai più è parso enigmatico, ha detto che a volte il consorte è sveglio all’alba per seguire le partite di Champions League. Sulla sua scrivania ci sarebbe spazio pure per una settima foto, la più recente, ovvero il selfie al campo del Manchester City, ottobre scorso: il caro vecchio Xi, il primo ministro britannico David Cameron e il centravanti Sergio Agüero, autore dello scatto. Un amico ha rivelato di aver visto Xi letteralmente a pezzi dopo un Cina-Inghilterra 0-3, amichevole a Pechino, 1996. Xi ha la mania delle magliette illustri: ne ha una dei L.A. Galaxy, autografata da David Beckham; una della nazionale inglese, con le firme dei giocatori, dono di David Cameron; ovviamente una del City, numero 1 e il nome “Xi Jinping”; una dell’Argentina, numero 10 e lo svolazzo di Leo Messi; una dell’Olanda, dono di Edwin van der Sar; anni fa, durante una visita in Germania, in aereo ha indossato la casacca del Bayer Leverkusen, un’altra volta quella del Wolfsburg. “Xi Dada”, il caro vecchio zio della Cina tutta, è pure protagonista di un cartone animato (“Dada& Soccer”) diventato virale, lui vestito da calciatore e a volte pure con un fischietto in bocca, perché volere è Potere.
È una passionaccia quella di Xi Jinping, 62 anni, segretario generale del Partito dal 2012 e presidente della Cina. E autentico è il cruccio che lo attanaglia: come è possibile che un miliardo e quattrocento milioni di cinesi, peraltro molti dei quali appassionati del football, non riescano a produrre un movimento calcistico decente? Perché la nazionale ha giocato i Mondiali una sola volta in 86 anni, nel 2002, e nel ranking Fifa è appena al numero 82, dietro Libia, Benin, Haiti, Uganda? Bisogna fare qualcosa. Il calcio ormai è business strategico, veicolo di marchi e di ideologie consumistiche, oltre che sublime sedativo dei popoli, insomma è carne viva negli affari del mondo e della geopolitica. Tra l’altro, come gli spaghetti, il meraviglioso gioco l’hanno inventato i cinesi: 300 anni prima di Cristo giocavano a Tsu-chu, prendendo a calci un pallone di cuoio, riempito di capelli di donna.
Così è partito il piano. È stato presentato un anno fa, febbraio 2015. Obiettivo finale: trasformare l’economia sportiva della Cina, fino a portarla a un valore di 800 miliardi di dollari nel 2025. Non a caso il colosso Wanda Group ha inglobato Infront, la principale azienda di diritti sportivi al mondo, e negli ultimi mesi ha acquisito parecchie aziende titolari di marchi e diritti. Ma il traino deve essere il calcio, e il programma si sviluppa in tre tappe: condurre la Cina a qualificarsi per i Mondiali; metterla nelle condizioni di organizzarli, nel 2026 o 2030; vincerli, un giorno non lontanissimo. Lo Stato promuove gli investimenti sul football delle varie aziende, che si stanno scatenando. Ma il primo passo è quello di costruire le basi. Cioè la cultura calcistica, per poi passare ai calciatori veri e propri e a una riorganizzazione dei grandi club. Così da alcuni mesi il calcio è diventato materia di studio nella scuola primaria (dalla terza elementare in poi) e in quella secondaria. Ci sono libri di testo veri e propri, redatti con la collaborazione di tecnici internazionali. Si illustrano i primi rudimenti della tecnica di base, la tattica, la storia del gioco, ma anche l’etica sportiva, il senso del collettivo. Ci sono rimandi a link sul web dove si intercettano animazioni in 3D per spiegare il gioco, con giocatorini che non hanno solo fattezze maschili ma anche femminili, perché il calcio è di tutti e per tutti. Al contempo, il governo ha varato l’apertura di 20mila scuole calcio entro il 2017, che devono diventare 50mila nel 2025: la Cina vuole produrre centomila giocatori di buon livello, e mandarli in giro per il mondo a migliorare. Ma intanto anche il campionato, la Super League a 16 squadre, dovrà cambiare. Basta con i club in mano a burocrati di partito, meglio che siano controllati da aziende; basta con la corruzione, che è stratificata; basta con gli ingaggi a campioni calanti (Drogba, Anelka, Robinho, Gilardino…) che non migliorano il livello del movimento, mentre allenatori di sicuro rendimento ci sono già: Scolari, Mano Menezes, Zaccheroni, Eriksson. Così, nell’ultimo anno, i club hanno dragato il mercato internazionale per cercare giocatori veri, o anche solo semplici prospetti, offrendo ingaggi milionari: c’è il sospetto che si stia gonfiando una bolla speculativa dalle ripercussioni per ora imprevedibili. Anche se il tetto di stranieri è 4 (ma solo 3 vanno in campo) sono arrivati molti brasiliani, alcuni di nome come Paulinho e Tardelli, o come Renato Augusto, miglior giocatore del Brasile nel 2015, che rifiuta lo Schalke e approda al Guoan di Pechino: è il segnale che le cose stanno cambiando, testimoniato anche dagli assalti a Luiz Adriano (fallito) e a Guarin (tuttora in corso) sul mercato italiano. Parallelamente i capitali cinesi, spinti dal piano di sviluppo del governo centrale, cominciano a entrare nei club europei. Da un anno in qua grosse aziende sono entrate nell’Espanyol (al 45%) e nell’Atletico Madrid (20%, con la solita Wanda), mentre l’effetto della visita di Xi Jinping a Manchester si è percepito appena un mese dopo, quando il colosso cinese CRC ha acquistato il 13% del City per 400 milioni di euro. Le trattative che coinvolgono banche cinesi per l’acquisizione del 48% del Milan sono un’altra dimostrazione che il gigante si sta svegliando. Pur con tutti gli errori di percorso del caso. Perché il signor Xi lo vuole, e perché anche lui in qualche sbavatura è incappato. Il famoso pallone con cui si trastullava a Croke Park, per dire, mica era da football: era da calcio gaelico, più grande di quello da calcio vero. Ma è il messaggio che conta, pensa il signor Xi, incurante degli sghignazzi. Tanto un giorno, se tutto va come deve andare, le misure del pallone le deciderà lui.