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 2016  gennaio 25 Lunedì calendario

Il Califfato ricava 150 milioni di dollari l’anno dal contrabbando di petrolio verso la Turchia

Nell’interminabile corridoio di porte del ministero del Tesoro ce ne è una che conduce dritto nel deserto controllato dall’Isis nei suoi traffici segreti, nei flussi di denaro garantiti da petrolio, banche saccheggiate e mogli usate come emissari. Dietro ci lavora Giuseppe Maresca, un signore alto e distinto, occhi azzurrissimi, parole controllate. Guida la quinta direzione del Dipartimento per la prevenzione dei reati finanziari, otto uffici e centotrenta persone. C’è chi fa analisi dei rischi, chi cura i rapporti con i partner europei, chi si occupa di far pagare le sanzioni se si viola un embargo (vedi Russia), chi prepara i dossier per la riunione periodica del comitato per la sicurezza finanziaria. Maresca non è quello che in gergo si dice un «operativo», ma sul suo tavolo passa tutto ciò che è necessario sapere per costruire le barriere giuridiche contro i finanziamenti illeciti del terrorismo. A quanto pare l’Italia oggi non è un crocevia dei soldi destinati all’Isis, eppure dall’anno scorso copresiede con americani e sauditi il gruppo di contrasto internazionale nel quale siedono venticinque Paesi. I foreign fighters arrivati in Siria e Daesh dall’Italia sono un’ottantina, niente a confronto dei 400 arrivati dal piccolo Belgio o degli ingenti flussi di denaro che arrivano ai leader dell’organizzazione da donatori sauditi e qatarini. Ma la forza dello Stato islamico sta altrove, nella capacità di autofinanziarsi «in modi sorprendenti», racconta Maresca.
La fonte più importante di denaro sono i pozzi di petrolio sequestrati nelle aree di loro influenza: garantiscono fino a 150 milioni di dollari di ricavi l’anno. L’uccisione – lo scorso maggio – da parte delle forze speciali americane del loro «ministro del petrolio» Abu Sayyaf ha messo gli analisti sulle tracce di quei traffici. Gli uomini dell’Isis hanno ingaggiato e soggiogato tecnici, geologi, hanno carte topografiche, una contabilità analitica e in caso di emergenza sanno come riparare gli impianti. Il greggio viene estratto e trasportato con autobotti lungo direttrici che molto spesso conducono alla Turchia. «Non c’è la prova che si tratti del primo acquirente, né che ci sia un interesse diretto del governo turco, certo quel confine è molto poroso». Raccogliere informazioni non è semplice: per evitare di essere intercettati i vertici dell’Isis usano i cellulari il meno possibile. Se necessario, le mogli si trasformano in piccioni viaggiatori; così faceva ad esempio la consorte del tunisino Sayyaf già ribattezzato «il contabile di Al Capone». Nel mondo dell’intelligence c’è chi teme un attacco informatico su larga scala per mano dell’organizzazione. Maresca è scettico: «Le tecnologie sono utili alla loro propaganda, ma ad oggi non sembrano una loro priorità».
L’Isis è invece in grado di estrarre materie prime, ad esempio fosfati, e vende tutti i beni archeologici che può. «La propaganda ci racconta le distruzioni, in realtà si tratta di ciò che non può essere venduto alla rete dei contrabbandieri». Per evitare l’imbarazzo di trovare pezzi pregiati venduto a qualche museo, «abbiamo costruito una stretta collaborazione, soprattutto con gli Stati Uniti». L’Isis poi raccoglie denaro fra le popolazioni locali: a seconda dei punti di vista può essere raccontata come una tassazione primordiale o un racket. Il Califfato ha un patrimonio non trascurabile, frutto delle confische nelle banche fra Siria e Iraq. In tutto – queste le stime che circolano fra gli analisti – si tratta di 600 milioni di dollari. Nel bilancio del Daesh arrivano infine, anche se in misura meno decisiva, i fondi reperiti con le donazioni, i riscatti dei rapimenti, la raccolta di denaro nelle moschee più radicalizzate. La lotta al finanziamento del terrorismo passa in gran parte attraverso la finanza, e per questo la rete antiterrorismo lavora a stretto contatto con le banche centrali. Ma Isis evita il più possibile l’intermediazione bancaria. Per spostare soldi da un punto all’altro del globo usa uno strumento tanto antico quanto le banche, l’Hawala. Esiste dall’ottavo secolo, è diffusissimo nel mondo islamico e può contare su una rete capillare di insospettabili mediatori. Funziona più o meno come un money transfer, salvo che per un dettaglio: non ci si passa nessun pezzo di carta, le transazioni si fondano sull’onore. A ben vedere, il finanziamento dell’Isis somiglia molto a quello di un’organizzazione mafiosa.