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 2016  gennaio 24 Domenica calendario

Intervista a Cottarelli. «I pericoli per la finanza mondiale vengono da Russia e Brasile»

NEW YORK Il nervosismo dei mercati non dipende da fatti specifici. Certo Russia e Brasile frenano la crescita mondiale. Ma il rallentamento della Cina invece è, tutto sommato, «fisiologico» e non trascinerà gli Stati Uniti in recessione. Le Borse, però, segnalano che, nello scenario globale, i rischi rimangono. Tuttavia in questo contesto l’Italia migliora e riduce la distanza dalla media della zona euro.
È l’analisi di Carlo Cottarelli, direttore esecutivo nel Board del Fmi. «Ci aspetta un periodo di crescita mondiale più lenta del previsto. Nell’ottobre scorso avevamo indicato una progressione del +3,6% per il 2016 e del 3,8% per il 2017. Adesso diciamo: +3,5% per quest’anno e +3,6% per il prossimo. Il motivo fondamentale è legato alle difficoltà della Russia e soprattutto del Brasile che vengono da un 2015 di recessione e continueranno su questa strada nel 2016». Tutti, però, guardano con preoccupazione alla Cina. Sembra quasi una crisi di fiducia sul potenziale del grande Paese asiatico. «Il Fmi conferma i valori di crescita sia per il 2016 che per il 2017. In Cina è in corso un grande cambiamento nel modello di sviluppo. Ci sono più consumi interni e meno esportazioni. Aumenta la quota dei servizi e diminuisce quella coperta dall’industria. È esattamente l’evoluzione che avevano chiesto gli organismi internazionali. È dunque fisiologico che il tasso di crescita rallenti, anche se resta su livelli non disprezzabili: oltre il 6%».
Ma allora perché le Borse mondiali sono così scettiche? «Probabilmente i mercati si chiedono se questi siano dati veri. Noi non abbiamo motivo per metterli in dubbio. Però è chiaro che esiste una domanda di maggiore trasparenza sulle cifre. È un’esigenza che avvertono perfino le autorità cinesi. C’è poi un problema, diciamo così, di ambizioni generali. La Cina dovrà riflettere sul suo potenziale e chiedersi se sono ancora raggiungibili tassi di crescita altissimi. Infine anche l’indebitamento delle imprese cinesi non aiuta». Dalla Cina agli Stati Uniti. Il 12 gennaio scorso Barack Obama, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, ha avvolto nell’ottimismo le prospettive economiche degli americani. Intanto il listino di New York accumulava perdite e umore nero. I dati del Fmi danno ragione a Obama o a Wall Street? «Sono tre anni che l’America cresce a un ritmo intorno al 2,5%. Una percentuale che sembra bassa se la paragoniamo ai livelli precedenti alla grande crisi del 2008. Noi abbiamo ridotto le previsioni dello 0,2% sia per il 2016 che per il 2017. Resta una crescita del 2,6%, in uscita dal 2,5% di quest’anno. Non sono i numeri di una recessione. Il tasso di disoccupazione sta diminuendo, quello di occupazione cresce. Le politiche fiscali e monetarie vanno nella giusta direzione».
Se è così terrà pure l’Europa, anche se la risalita del Prodotto interno lordo resta più lenta rispetto alla reazione statunitense. «È così. Abbiamo ritoccato dello 0,1% la stima sull’area euro per il 2016. Qui, invece, la buona notizia è che l’Italia accorcia le distanze rispetto alla media. Per quindici anni il differenziale tra crescita dell’eurozona e Italia è stato pari all’1%. Nel 2016 stimiamo che il gap si ridurrà allo 0,4%. Il recupero del nostro Paese è già cominciato nel 2015. Avevamo cominciato l’anno con una previsione dello 0,6% e chiudiamo allo 0,8%. Sono state fatte un po’ di riforme e anche la tassazione è calata. Certo il distacco non è ancora colmato».