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 2016  gennaio 23 Sabato calendario

Stralci dell’intervista esclusiva di Franca Leosini a Rudy Guede, unico condannato per l’omicidio di Meredith Kercher

Ripubblichiamo stralci dell’intervista di Franca Leosini a Rudy Guede andata  in onda nella trasmissione Storie Maledette su Raitre, giovedì 21 gennaio.

La conosciamo così Meredith Kercher, icona congelata in quell’immagine replicata all’infinito dai media, dopo che in quella notte di Perugia fra il primo e il due novembre del 2007, notte di Halloween, notte di streghe e di fantasmi, una tempesta di coltellate aveva spezzato il suo tempo senza più stagioni.

Aveva 21 anni di garbata bellezza Meredith, e se li portava con la serena baldanza di chi ha una vita tutta da spendere all’insegna di aspirazioni e di valori di sapore antico. Precisa, riservata, riflessiva, assennata nel gestire passioni e pecunia, Meredith appare un delicato ossimoro nel microcosmo studentesco variegato e allegramente trasgressivo che Perugia aveva allora in Amanda Knox la sua esemplare spavalda trasgressiva disinibita esponente
Inglese di Southwark, storico quartiere di Londra nel sud della capitale. Dalla metà di settembre del 2007 Meredith frequentava all’università di Perugia il corso di italiano per stranieri, nella villetta al numero 7 di via della pergola, acquattata lì sotto un rigido ponte e che sembra quasi creata per fare da sfondo a un’oscura follia, l’inglesina c’era andata ad abitare con tre ragazze come lei studentesse in trasferta a Perugia, due italiane e un’americana di Seattle la 22enne Amanda Knox.
Biondo concentrato di esplosiva ustionante sensualità. Da un paio di settimane Amanda amoreggiava con Raffaele Sollecito, 24 anni, pugliese di Giovinazzo, laureando in informatica. Buona famiglia, viso liscio e pulito, qualche spinello di ordinanza, bel ragazzo di quieta eleganza, l’immagine di Raffaele sembra quasi stridere per garbata discrezione con l’irrequieta, ammaliante ragazza di Seattle.
Ma è con lei, con Meredith Kercher, e con l’omaggio a questa ragazza d’Inghilterra, unica vera struggente vittima senza domani di questa tragedia, vittima negletta, dimenticata a tratti, perché sepolta dalla fragorosa fascinazione mediatica di altri che hanno occupato da protagonisti ogni spazio della sinistra scena. È con Meredith Kercher, è con il ricordo di lei, che si sente il bisogno di iniziare a ripercorrerla questa storia, senza però il fatidico “C’era una volta”, perché c’è e per la prima volta parla l’unica persona che finora mai ha parlato, l’unica persona che per questa tragedia paga per una colpa che disperatamente rifiuta.
 
Buonasera Rudy Guede.
Buonasera.
Rudy Guede o Rudy Guedè?
Per me è Guede. Come si scrive lo pronuncio.
Quindi io devo chiamarla Guede.
Guede. Mi ritrovo in Guede.
Perfetto. Vede Rudy, prima di affrontare il viaggio nel dolore di quella tragedia che malauguratamente l’ha portata qui (l’intervista si svolge nel carcere di Viterbo, ndc), vorrei che lei facesse con noi un altro viaggio, vorrei che lei ci portasse in Costa d’Avorio, nella sua terra lontana per raccontarci quel bambino scappato dal suo paese, strappato dalle braccia della mamma. Ecco, ritroviamoli insieme quel bambino che viveva con la sua mamma in quel villaggio che si chiama Agou. Anzitutto quanti anni aveva lei Rudy quando viveva ancora lì nella sua terra?
Quando vivevo nella mia terra avevo all’incirca sui quattro anni.
Parliamo della sua mamma. Sostanzialmente lei a cinque anni è stato strappato dalle braccia della sua mamma. Ma in un angolo della memoria c’è ancora traccia di quel suo villaggio, per esempio della casetta in cui viveva, se li ricorda lei?
Come no. Ce l’ho ben presente e ben inserito all’interno sia della mia memoria che del mio cuore.
E accadde un giorno quello che per un bambino mai dovrebbe accadere. Ci racconta lei quel giorno, ce lo racconta quel giorno che ha segnato la sua anima, quel giorno che ha segnato per sempre anche il corso del suo destino?
Quel giorno in cui sia io che mia madre abbiamo avuto la notizia che sarei venuto in Italia, avrei lasciato insomma la Costa d’Avorio. La scena è questa: mia zia, fu mia zia a riferire a mia madre che sarei venuto in Italia a stare con mio padre. Fu uno choc per mia mamma questa notizia, e mi ricordo questa scena di mia madre che non mi voleva lasciare, non voleva che suo figlio se ne andasse in un paese sconosciuto. E mi ricordo questa scena che da una parte c’era mia zia che mi tirava e dall’altra parte c’era mia madre che per non volermi lasciare mi tirava dalla sua parte.
Difatti, una volta che ci siamo incontrati, appunto mentre una lacrima le rigava il viso, mi ha mimato la scena di come lei era conteso fra sua madre e sua zia, sorella di suo padre. E raccontandolo lei ha spalancato le braccia in una croce ideale quasi a simboleggiare lo strazio di quel momento. Insomma, lei se lo ricorda.
Sì.
Cominciamo con il dire che a reclamarla era suo padre, che viveva in Italia, che viveva con un’altra donna, un’altra vita, e intendeva assicurare a lei, suo figlio, un presente e un futuro migliore. Quindi lei viene strappato dalle braccia di sua madre, viene deportato sostanzialmente in Italia e praticamente a cinque anni lei, Rudy, guadagna anche il suo primo dolore. Anzitutto dove viveva suo padre in Italia?
A Cantalupo di Bevagna.
E poi siete andati a Ponte San Giovanni mi pare.
Poi ho vissuto quasi totalmente a Ponte San Giovanni.
Che è una frazione di Perugia.
Sì.
Senta Rudy, di che cosa si occupava suo padre?
Allora, mio papà in Italia faceva il muratore.
Quindi lei va a vivere con questo signore che era suo padre ma che per lei sostanzialmente era un estraneo.
Uno sconosciuto, inizialmente.
Come funziona poi questo rapporto con questo papà che improvvisamente si materializza?
Questo rapporto inizialmente è un rapporto nuovo, fino a quando avevo cinque anni non sapevo che esistesse e non mi ero mai posto il problema dell’esistenza di un padre. Un rapporto, come posso dire, gioioso, felice.
Quindi lei si affeziona?
Sì, assolutamente.
Comunque Rudy, nel racconto di vita con suo padre, che in un nostro precedente incontro lei ha fatto anche a me, il suo ricordo abbraccia ampi spazi di solitudine. Una solitudine anche appesantita da un turnover di donne.
Fidanzate di papà. E poi perché comunque la percezione che avevo, e che sentivo da parte loro, era che, non essendo loro figlio, non c’era quell’amore nei miei confronti. Ero, diciamo, ingombrante.
Poi va detto che suo padre, Rudy, si allontanava di frequente dall’Italia, e lei finiva poi per ritrovarsi da solo, e si doveva pure arrangiare da solo. Ma a quel punto lei cosa faceva Rudy, si rivolgeva ad altre persone, si faceva aiutare?
No, non ne parlavo, anzi tendevo a cercare di risolvere le cose da solo.
Senta Rudy, ma è vero che già in terza elementare lei aveva le chiavi di casa?
Guardi io sono stato un bambino che dalle elementari è stato sempre autosufficiente. Io quando tornavo a casa da scuola, a differenza dei miei coetanei di sei sette anni, mi preparavo la pasta da solo, mi facevo l’omelette da solo, un piccolo uomo.
Però Rudy, siccome anche nelle favole tristi c’è sempre una fata, nella sua vita a un certo punto si fa spazio una presenza femminile, che interviene a colmare per molti versi anche il vuoto della figura materna. E si chiama Ivana Tiberi, questa specie di fata. E vorrei che fosse lei, Rudy, a parlarci di questa dolce signora, a raccontare come e quando questa signora le ha spalancato le braccia ed è diventata in qualche modo una sorta di madre surrogata. E poi ci parli lei di questa maestra scappata, sembra, da una pagina del Libro cuore?
La maestra Ivana la conosco da quando ho cominciato a frequentare la terza elementare a Ponte San Giovanni. Da quel momento in poi sia lei sia tutti i componenti della sua famiglia e tutte le persone a lei vicine sono entrate nella mia vita, come io sono entrato nella loro.
E infatti la signora Tiberi è una persona che la adotta e alla quale lei si lega con sentimento profondo, un sentimento che come vedremo sarà duratura e infrangibile. E la dimora della signora Tiberi diventa in effetti il suo focolare mancato, un nucleo famigliare nel quale lei si radica, si lega anche molto al marito.
Sì, è al figlio Gabriele e alla figlia Lucia.
Senta Rudy, che dirle che ho avuto il privilegio di parlare a lungo con la sua maestra delle elementari, con la signora Ivana Tiberi. La signora Ivana mi ha raccontato quello che forse lei non racconterebbe, forse per pudore, forse perché ritrovando i ricordi è il dolore che si ritrova. La maestra mi ha raccontato cosa si nascondesse, Rudy, dietro l’orgoglio dei suoi silenzi. Fu lei, la maestra, a capire, quale fosse realmente il suo quotidiano. E lo capì massimamente osservando come di frequente lei Rudy la mattina arrivava a scuola tutto arruffato, cisposo, sgualcito nel volto e nei capelli. E la verità la sua maestra è riuscita a scoprirla con cauti sotterfugi, e scopri che accadeva questo. Scoprì che se lei Rudy rientrava a casa in ritardo, per stare a zonzo, per dare un calcio a un pallone con qualche compagnuccio, quando questo accadeva, quando lei rientrava fuori orario rispetto a quello stabilito da suo padre, suo padre la chiudeva fuori casa. La lasciava fuori casa tutta la notte, solo, al buio, magari al freddo, all’abbandono più cupo delle paura e della solitudine. Da allora, mi ha detto la maestra, dopo la scuola, “ho accompagnato sempre io a casa Rudy”. La signora maestra mi ha detto che lei aspettava finché lei, Rudy, aperta la porta, se la richiudesse alle spalle. Questo mi ha raccontato la signora Tiberi. Li porta con sé questi ricordi, Rudy?
Sì.
Vede Rudy, nel romanzo della sua vita ci sono pagine tristi, pagine buie, ma ci sono indubbiamente anche pagine belle, pagine piene di luce. Perché che lei fosse indubbiamente un bambino trascurato, chiuso in una solitudine senza parole, ad accorgersene non è stata solo la maestra Tiberi, sono state anche le altre maestre della scuola...
E sono state anche le mamme dei miei compagni di classe.
Cosa facevano le mamme dei compagni?
Dunque, possiamo dire che ogni giorno andava da varie persone, da vari compagni di classe, in modo tale che tutto l’arco della giornata del dopo scuola non rimanessi da solo. E anche questa è un’esperienza, una parte della mia vita, che ho molto a cuore e conservo in maniera molto forte, che mi evoca momenti duri ma anche bei momenti.
Vede Rudy, lei non è nato ricco, la cicogna è un animale sbadato. Però ha avuto una serie di fortune, di ricchezze, perché al di là della maestra lei ha avuto anche dei grandi amici, due grandi amici soprattutto: Gabriele, il figlio della maestra, e poi?
E poi Giacomo, mio compagno di classe delle medie, che poi è diventato il mio più grande amico.
Giacomo era compagno di basket.
Avversario.
Però sportivi tutti e due. Ecco, lei è stato un po’ un campioncino del basket, perché ha mollato poi? Poteva anche essere una strada, o no?
Sicuramente avrei continuato, ma poi i fatti della vita hanno fatto sì che mi trovassi in questa situazione.
Senta Rudy, nella vulgata su di lei, molto si è parlato del fatto che lei a un certo punto è stato, diciamo, adottato, in realtà è stato dato in affido, a una famiglia bene, benestante di Perugia, i signori Caporali. I servizi sociali, che indubbiamente la seguivano con attenzione, hanno disposto questo affido. Perché?
Perché mio papà, c’erano dei periodi, si spostava, andava in Costa d’Avorio, e tutto questo ha fatto sì che si muovessero anche i servizi sociali.
Quindi lei viene dato in affido ai signori Caporali. Ecco, è una famiglia di specchiata moralità, molto nota a Perugia, proprietari di un’azienda e anche sponsor di basket. Ecco, lei Rudy, come un Cenerentolo fuori stagione, si ritrova a vivere in una specie di favola. Perché poi proiettato in un mondo luccicante di benessere. Come l’ha vissuto questo passaggio?
Sicuramente è stato un passaggio traumatico, nel senso che passare da una situazione così complicata e difficile ad una situazione serena e di benessere, non è stato facile per me. Però con il passare del tempo mi sono trovato bene.
Comunque lei si affeziona a questa famiglia?
Assolutamente, mi affeziono. Però una cosa è andare a pranzo da un amico e poi la sera te ne stai a casa tua da solo, una cosa è vivere in una famiglia ventiquattro ore su ventiquattro. Mi ha fatto capire il calore che avrei voluto vivere nella mia famiglia.
Un giorno se la costruirà lei una famiglia così concepita. Comunque lei, Rudy, questa dolce vita che lei trascorre con questa illustre e generosa famiglia a un certo punto si conclude. Perché?
Sì conclude perché: mettiamo assieme tutte le volte che li ho fatti arrabbiare, il fatto che in quel periodo andavo male a scuola, il fatto che non andavo a lezione ma andavo da tutta altra parte, è stato visto come una mancanza di rispetto. Io penso che se lo stesso comportamento lo avessi avuto nei suoi confronti lei si sarebbe arrabbiata lo stesso.
Certo.
E, poi, avendo compiuto diciotto anni (il fatto che io andassi da loro era temporaneo fino ai diciotto anni) l’affido era comunque scaduto.
Facendo una carrellata rapida sul suo percorso successivo, lei dopo aver lasciato la famiglia affidataria, cambia cielo, cambia vita. Prima va da sua zia a Lecco, la zia paterna, poi va a Pavia dove trova per altro un lavoro e dove trova una fidanzata.
A Milano.
A proposito come era messo lei con le ragazze? Acchiappava lei?
No.
Come no? Perché no?
...
Mi fa il timido adesso? Mica ho fatto una domanda indiscreta. Ho detto acchiappava?
Ho avuto le mie fidanzate.
Acchiappava allora.
Comunque Rudy, anche Pavia è parentesi di vita che comunque si chiude, si chiude in maniera anche un po’ deludente, perché dopo qualche tempo lei perde il lavoro da barista e perde anche la fidanzata e torna a Perugia.
La fidanzata la perdo perché torno a Perugia.
Precisiamo sì, uno che acchiappa effettivamente la mette così.
Dunque lei torna a Perugia dove ritrova i meravigliosi amici di sempre. La famiglia della signora Tiberi che la accoglie, la aiuta, la aiuta anche a trovare un lavoro.
Sì.
Senta Rudy, una annotazione a questo punto va fatta, e riguarda un certo suo modo di agire, un certo suo modo di comportarsi nei confronti di persone che tanto si erano prodigate, tanto si erano spese e tanto si spendevano per lei. Periodicamente, e per lunghi periodi, in modo inspiegabile, lei si eclissava e non dava notizie di sé, lei scompariva proprio. Questo è vero?
Questo è verissimo.
Lei a distanza riesce a spiegarsi il motivo di questi black out che periodicamente la inghiottivano?
Io penso che sia dovuto anche a un trascorso di un’età adolescenziale che mi sono portato appresso. Questa è la spiegazione che le posso dare.
È come se lei fuggisse sempre, è come se lei fosse sempre in fuga, in qualche modo da se stesso. C’è da dire che lei ha vissuto una fase, vogliamo dire, di deragliamento? Ecco, di testate alle regole,  un certo momento, lei ne ha date più d’una. Ne conviene, vero?
Mah, guardi, di testate alle regole ne ho sicuramente date più di una, ma non erano regole che violavano chissà quale cosa. Degli sbagli, degli errori ne ho fatti nella mia età adolescenziale, nei miei diciannove, venti anni...
Ma siccome, in genere, alcol e droga sono i punti di caduta dei ragazzi quando iniziano a scapocchiare, come dicono dalle mie parti, ecco, parliamo di droga. Al di là di qualche spinello di ordinanza, di qualche canna di ordinanza, ha fatto uso di droghe?
Assolutamente no.
Droghe pesanti intendo.
Assolutamente no.
E infatti tutti i suoi amici hanno testimoniato che le non ha mai fatto uso di droghe, droghe pesanti.
Senta, con l’alcol come era messo lei?
Con l’alcol, come qualsiasi ragazzo che il sabato sera va al pub e beve una birretta. Non nego il fatto che qualche volta, si dice sbronza no? Ma non è che andavo in giro ubriaco il sabato sera.
E infatti i suoi amici intimi giurano e spergiurano che non l’hanno mai vista bere. Mentre ci sono delle ragazze che hanno testimoniato che l’hanno vista spesso un po’ bevuto, e bevuto vuol dire ubriaco. Però comunque droga e alcol sono robetta rispetto al ritratto che dopo la tragedia la stampa di settore ha tracciato di lei. “L’uomo nero”, “uno che vive di furti e sotterfugi”, “uno dedito a droghe e alcol”, titolare di ogni perdizione.
Questo si diceva, questo si è detto, questo si continua a dire.
Questo è il ritratto che è stato fatto di lei dopo la tragedia di Meredith. Però, al di là del profilo che di lei è stato tracciato, dei colori accesi della cronaca, va detto che anche negli atti processuali relativi ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito, suoi presunti concorrenti nell’omicidio di Meredith Kercher, lei Rudy viene definito, cito testualmente, “ladro esperto e scaltro”, si parla anche della “provata maestria di Rudy Guede nella consumazione di furti”, roba così insomma. Ecco, Rudy, fato salvo un indubbio disordine che in quel periodo contrassegnava i suoi giorni, ci vuole chiarire lei su cosa poggiano, su cosa si basano queste accuse? Dove, come e quando le avrebbe perpetrato questi furti, queste ruberie, queste malversazioni delle quali si è parlato tanto.
Una bellissima domanda che mi piacerebbe rivolgere anche a queste persone che hanno tirato fuori queste cose. Allora guardi dottoressa Leosini, una persona che viene descritta come adusa a commettere furti, a essere un drogato, uno spacciatore, un ubriacone, io credo che sia una persona che almeno in qualche questura d’Italia, di Perugia, di Milano, nei posti dove sono stato, qualcosa ci deve essere. E non c’è. Non c’è assolutamente niente.
Guardi che queste definizioni sono scritte in una sentenza della Corte d’assise di appello relativa ai suoi presunti concorrenti nell’omicidio di Meredith Kercher.
“Consumazione dei furti” vuol dire che ci deve essere un fascicolo a mio carico lungo non so quante pagine a questo punto.
Lei dice che invece non risulta da nessuna parte.
Non risulta da nessuna parte e poi penso che si sia fatta una manipolazione e una strumentalizzazione di un episodio che mi è accaduto. Questo lo racconto. Penso che sia anche doveroso raccontare le cose.
Intanto cominciamo a dare una data a questo episodio.
Siamo a...
Glielo dico io: 27 ottobre del 2007. Quattro giorni prima dell’omicidio di Meredith Kercher.
Da Perugia vado a trascorrere una serata a Milano. Vado a Milano portandomi appresso degli effetti personali, tra cui un pc portatile. Io non andavo in discoteca, ero solito andare in quelli che chiamiamo club, perché ascoltavo e ascolta la musica hiphop e R&B. Sono entrato dentro un locale assieme a degli amici, sennonché a una certa ora gli ho persi di vista. Perdendoli di vista, non sapevo dove andare a dormire e mi sono malauguratamente e in maniera sciagurata affidato a una persona a me sconosciuta che mi ha portato...
Chi era?
È una persona che ho conosciuto lì in quel momento, un sudamericano. Io purtroppo, a quell’età, avevo l’abitudine di fidarmi di chiunque. E dunque mi fido di questa persona, penso che mi porti a dormire da lui, invece mi porta a dormire dentro un asilo.
Come ci è entrato questo signore?
Ha aperto la porta, c’aveva le chiavi del portone del palazzo e quelle dell’asilo.
Come mai?
Mi disse che sua moglie lavorava dentro quell’asilo e che non era la prima volta che ospitava persone in quella maniera. E io nella mia testa mi dico va be’ chi se ne frega tanto il giorno dopo riparto, e rimando a dormire dentro questo asilo. E lì nasce il mio errore e tutto un equivoco. Il giorno dopo viene la proprietaria dell’asilo, mi vede dentro il suo ufficio, pure io mi sento preoccupato, e le vado incontro e le spiego il perché fossi lì dentro. Chiama la polizia, mi portano in questura e mi trovano addosso questo computer. Un computer che avevo comprato a Perugia, in questi mercatoni che si trovano anche a Roma, a Milano, dove si trovano cose usate, di seconda mano. E quando vanno a fare i controlli risulta che il computer era stato rubato.
Che era stato rubato nello studio di un avvocato.
Dopodiché questa cosa verrà presa e verrà fatta una grandissima manipolazione come a dire che io ero uno aduso a commettere furti. E quella è stata la prima volta che sono stato fermato dalla polizia.
Sì, però, questo episodio le è costato una denunzia per furto, ricettazione e detenzione e porta d’armi. Perché lei dalla scuola ha prelevato, non mi piace dire rubato, un coltello.
Il coltello stava sul tavolo della signora insieme al computer e al mio zaino. Quando arrivò la polizia, nella confusione, presero tutte le cose che erano sul tavolo e le misero nel mio zaino. Io non so come ha fatto quel coltello a finire dentro il mio zaino. E sono stato portato a condanna per tentato furto di un coltello. Poi addirittura la signora dell’asilo se lo riprese quel coltello. E disse no, guardate, vi siete sbagliati.
Furto, ricettazione, detenzione e porto d’armi, questa la denunzia nei suoi confronto. Non solo sul piano personale, ma le è costata molto anche sul piano dell’immagine e su quello penale.
Mi è costato perché è stato manipolata e costruita a tavolino per raccontare chissà cosa.
***
Sarà difficile, per lunghi anni forse, parlare di Perugia senza che dal fondo della memoria riemerga prepotente, come una maledizione mai placata, la storia di un delitto. Un delitto che ha segnato un’epoca con memoria indelebile. Di quella notte sarà difficile silenziare i fantasmi.
Ce la ricorderemo così Meredith Kercher, in quella sorridente foto da streghetta, e lucente di giovinezza quel volto, a cui nella notte di Halloween, del 1° novembre del 2007, hanno spento ogni luce.   
 
(…)
 
Senta Rudy, noi, in questi anni, fra processi, interviste, dichiarazioni, fotografie, su Amanda ci siamo fatti una grande abbuffata. Di Amanda conosciamo fin troppo: la sua collezione di magliette, i suoi tagli di capelli, le sue smorfiette, i suoi lacrimoni... Di Meredith, la grande protagonista assente di questa vicenza, invece le poche immagini di quel sorriso che non ha più stagioni. Lei Rudy, che invece Meredith l’ha conosciuta, sia pure superficialmente, riesce a descriverla questa ragazza, riesce a farne un ritratto?
Guardi, le dirò una cosa, quando ho visto Meredith per la prima volta (qualche giorno prima del delitto, ndc) la prima cosa che le ho detto è stato: io scommetto che tu sei di dicembre. E così era.
E su cosa lo scommetteva che era di dicembre?
 C’era un rimando. Quasi tutte le ragazze con cui sono stato erano nate a dicembre.
Erano ragazze invernali. Quindi le piaceva?
Sì, come ragazza posso dirle che era una ragazza alla mano, caratterialmente seria, sapeva il fatto suo, trasmetteva carisma. E forse è quel carisma che mi ha affascinato di lei.
 
(…)
 
Quando quella notte lei entra in casa di Meredith, c’eravate solo voi due o c’erano anche altre persone?
Eravamo solo io e Meredith.
Per seguire sempre la sua versione dei fatti, quando si chiude la porta alle vostre spalle, come prosegue la serata, cosa accade fra lei e Meredith.
Entriamo in casa, ci sediamo in salotto, nel salotto cucina. Io avevo mangiato un kebab piccante, che nel frattempo mi aveva dato un po’ allo stomaco, e dunque io le chiedo da bere. E lei mi dice “fai con comodo”. Io apro il frigorifero e bevo un succo. Nel frattempo Meredith si indirizza verso la sua stanza, la camera da letto. Dopodiché se ne riviene lamentandosi e inveisce contro la Knox. Al che le dico: “Che è successo?” e lei mi dice che ce l’aveva con la Knox perché dice che le aveva rubato dei soldi, che non pulisce, che è sporca. Al che cerco di tranquillizzarla, cerco di farla ragionare. Si calma, si tranquillizza e sempre nel salotto cucina accade quello che noi giovani chiamiamo good mood, ossia questo atto di avvicinamento che ci può essere tra due persone. E, niente, come posso dirle?
In termini espliciti, senza problemi.
Ci avviciniamo, non c’è nessun rapporto sessuale, a differenza di quello che è uscito in questi anni, e c’è una sorta di petting, mi scuso per il termine.
No, no, non ce ne sono altri. Preliminari di un rapporto sessuale, diciamo.
Sì, al che Meredith mi dice in inglese questa frase: “Do you’ve condom?”, ce l’ha il preservativo, io dico di no, anche lei dice “non ce l’ho”, e come qualsiasi ragazzo che ha avuto storie precedenti con altre ragazze mi rendo conto che non è il caso di andare avanti e la cosa si interrompe lì.
Mi scusi tanto, ma lei andando a casa di Meredith per un appuntamento si suppone che lei non pensasse di parlare di filosofia o dei massimi sistemi.
Sicuramente.
E come mai allora non si è portato il preservativo? Che poi sono oggettini che in generale si portano i maschietti. Quindi Rudy salta il meglio della serata, insomma? Parafrasando il titolo di un grande film, niente sesso siamo inglesi. Comunque andiamo per sequenze. Cosa succede dopo questa imprevista interruzione?
Dopodiché ci rivestiamo e dopo un po’ di tempo ho necessità di andare in bagno.
Lei ha parlato di un kebab che le aveva fatto male. Mettiamo in chiaro questa cosa. La necessità di andare in bagno deriva da questo, almeno così ha detto nel processo. Allora ci spieghi bene, perché questo qui è un momento topico, molto si è discusso proprio su questo punto. Lei è andato in bagno, in quale bagno è andato?
È stata la stessa Meredith a indicarmi il bagno grande, ossia il bagno più vicino al salotto cucina.
Che è il bagno lontano dalla camera di Meredith.
Certo.
Ora Rudy, nel suo ricordo, quanti minuti passa in bagno?
Guardi, io il minuto glielo so dire perché quando sono entrato nel bagno... Ora, questa cosa va chiarita: sono una persona molto igienica e quindi ho l’abitudine di porre la carta igienica sul water. Mentre faccio quest’operazione sento suonare il campanello. Meredith apre, ne nasce un diverbio, e lì riconosco la voce di Amanda Knox che è entrata in casa. Ora, io a sentire il dibattito, il diverbio che nasce fra le due, sapendo che Meredith in precedenza si era lamentata contro Amanda Knox per via dei soldi, per il fatto che comunque era disordinata e sporca, io non mi preoccupo più di tanto e me ne sto in bagno. Perché mai avrei immaginato che da una litigata fra due ragazze chissà cosa sarebbe nato.
Quindi Amanda Knox è in casa in quel momento.
Sì, io riconosco perfettamente la voce di Amanda Knox.
È con certezza che lo dice?
Assolutamente. Al 101 per cento. Comunque come le ho detto io continua a effettuare il bisogno di cui necessitava ascoltando l’iPod. Guardi sono stato dentro il bagno, perché poi me la sono presa proprio comoda, all’incirca per un periodo di dieci undici minuti. Dico questo perché ho ascoltato tre brani. Di cui due interi e il terzo fino a metà. Dopodiché ho sentito un urlo più forte del volume della cuffia che avevo all’orecchio (tenga conto che io tendo ad ascoltare la musica a livello altissimo). Ho sentito una voce così straziante... al che mi sono preoccupato e ho cercato, senza neanche tirare lo sciacquone, rivestendomi velocemente, ho cercato di andare a vedere cosa era successo. Quando sono uscito (e questa è un’altra particolarità che penso sia importante) la luce del salotto soggiorno e del corridoio era spenta, mentre quando sono entrato in bagno era accesa. Era tutto spento tranne che la luce nella camera della Kercher. Allora io mi dirigo attraverso il soggiorno, attraverso il corridoio, e mi indirizzo verso la stanza di Meredith Kercher e davanti alla porta della stanza di Kercher vedo questa sagoma maschile, di schiena. Al che, dallo spavento, dall’agitazione, chiedo: “Ma che è successo?” e sto quasi per toccare questa persona. Questo si gira di scatto e mi viene incontro, io indietreggio e cerco di difendermi, pararmi. Muove le mani... Guardi, è stato una cosa talmente fulminea che non ho avuto tempo... Tant’è che io durante l’interrogatorio, anche durante le udienze del processo dirò che i movimenti di questa persona... non so cosa avesse nelle mani... Ho detto mi sembrava che avesse del bisturi perché sono stato anche ferito...
Poi la polizia tedesca, quando lei sarà catturato, darà riscontro di questo taglio. Quindi lei si imbatte in questa figura maschile.
Cerca una via di fuga. Non è che facciamo la lotta, che lui mi dà un pugno o io gli do un pugno. È una persona che sentitosi, diciamo, scoperto, cerca una via di fuga, io indietreggio finché cado nel soggiorno e questa persona se ne esce e dice “andiamo, andiamo”. Perché questa persona che è uscita ha parlato con un’altra persona, che era la Knox, che le diceva “andiamo che c’è una persona”...
Scusi, vuole ripetere “questa persona ha detto...”?
Alla Knox: “andiamo che c’hanno scoperto”, cioè, c’è qualcuno in casa. (…) Ora, quando io dico che questa persona riferendosi all’altra, in questo caso alla Knox, dicendo “andiamo via, c’è un negro, negro trovato è...
Negro trovato?
Colpevole trovato... è un mio modo di reinterpretare quel che io avevo udito.
Ma lei si era reso conto di quel che era successo, scusi?
Quando queste persone vanno via, si allontanano, cosa faccio? Sto ancora nel salotto soggiorno, entro nella stanza della Filomena (compagna di casa di Meredith e Amanda insieme a una secondo italiana, ndc), per guardare fuori dalla finestra e riconosco la Knox che se ne va. Io il Sollecito non lo conoscevo all’epoca, dunque quando fui sentito non ero in grado di dire se quella persona era Sollecito o non Sollecito. L’unica cosa che sono stato in grado di dire era che la voce, il modo di parlare di questa persona, era tipica del sud. (…) Poi mi dirigo verso la stanza di Meredith. È lì che vedo il corpo di Meredith per terra, è lì che vedo una copiosità di sangue che le esce dattorno. La prima cosa istintiva che cerco di fare... mi rendo conto di quello che è successo... e allora dico vado in bagno, nel bagno più vicino alla stanza di Meredith, e prendo un asciugamano. Rientro dentro la stanza e Meredith, mi rendo conto che è ferita al collo e cerco di tamponare la ferita. Però non basta e che faccio? Rientro dentro il bagno, prendo un altro asciugamano e cerco di tamponare la ferita. E ne riprendo un altro di asciugamano.
Lei parla della ferita. Dove ce l’aveva questa ferita?
Ce l’aveva al collo. Insomma, cerco di tamponarle la ferita ma non ci riesco. (…) Meredith addirittura cerca di dirmi qualcosa, ma questo suono “aff, aff”, che poi io tenterò di scrivere le lettere sul muro...
Col sangue.
Sì, perché c’avevo le mani insanguinate. E quindi sento questo “aff, aff” e però a un certo punto, un ragazzo di venti anni, trovarsi dinanzi a una situazione del genere, da un momento all’altro, così: boom, dal nulla... lo choc e la paura ha prevalso su di me, non mi ha più fatto ragionare e ha fatto sì che io uscissi da quella casa. Anni dopo, pensando a questo fatto che mi sono fatto prendere dalla paura, sento di non aver fatto quello che avrebbe fatto anche un bambino di sei anni: chiamare aiuto, chiamare soccorso. Non essere stato in grado di soccorrere Meredith è una cosa molto dolorosa. Lei si domanderà: perché te ne sei andato via, perché sei scappato? Però in quel frangente tante cose ti vengono in testa, chi ti crederebbe, la parola udita prima “andiamo via c’è qualcuno”, e ciò ha fatto sì che la paura abbia prevalso su di me, ciò ha fatto sì che io non abbia agito nel migliore modo possibile per prestare soccorso alla povera Meredith, sia per attirare l’attenzione. Forse non mi avrebbero creduto lo stesso. Così come non mi hanno creduto e non mi credono tuttora i giudici. Forse si sarebbe potuto fare di più.
No, si sarebbe potuto fare molto, nel solo modo possibile: chiamando i soccorsi. Lei ha detto “sono stato vigliacco” (non lo ha detto, ndc), lei è stato vigliacco. È facile logicamente per chi non si trova in circostanze di quel tipo poi dare dei giudici, e quindi io mi vergogno di avere detto che lei è stato vigliacco, però sostanzialmente è lei che ha detto di se stesso: io sono stato un vigliacco.
Sì.
Poi però va ricordato che lei non aveva il cellulare, perché glielo avevano sequestrato a Milano.
Sì.
Ricapitolando, io devo fare riferimento necessariamente a quelli che sono stati i dubbi, gli interrogativi e anche i convincimenti a lei contrari degli inquirenti. Anzitutto lei ha detto di essersi addirittura precipitato dal bagno senza neanche tirarsi su i pantaloni.
Sì e senza tirare lo sciacquone.
Ecco, ai giudici è apparso inverosimile che lei, sbattendo conto a questo, chiamiamolo, uomo con il coltello, non sia riuscito a descriverlo in nessun modo. Sopratutto è perso inverosimile che sostanzialmente il tutto si sia svolto in dieci undici minuti, quelli che lei ha indicato. Un’altro dei dubbi: perché Amanda ha bussato alla porta essendo lei l’inquilina di quell’appartamento, le chiavi le doveva avere.
Semplice, apri, entri in casa, chiudi, e metti la chiave (nella porta dell’interno, ndc).
Un altro punto di cui i giudici sono assolutamente convinti che lei abbia mentito è che un evento così tragico, una violenza di quel tipo, si sia verificata in dieci minuti. Così, più che un aggressione sembrerebbe un’esecuzione.
Guardi, io non so in che modo avvengano delle aggressioni. Non lo so.  
(…)
A proposito dell’uomo con il coltello, lei non ha proprio idea chi fosse quella persona?
Io sono sicuro al 101 per cento che Amanda era presente, perché la conoscevo, ed è la persona con cui Meredith ha iniziato la discussione quando ho sentito suonare alla porta. Dopodiché, per quanto riguarda questa seconda persona, come ho detto, facendo un percorso mentale di quel momento, al 100 per cento non sono in grado di dire chi era a quell’epoca. Però sono passati otto anni, e in questi otto anni una mia idea me la sono fatta.
Ce la dica.
Non è che la debbo dire io. Perché se andiamo a leggere l’ultima sentenza della Cassazione che si riferisce ai miei presunti corresponsabili è vero che quella sentenza dice “al di là di ogni ragionevole dubbio” per via del fatto che gli inquirenti abbiano fatto un lavoro fatto male, e per via del fatto di tantissime altre cose, non erano in grado di dire se erano colpevoli. Però quella stessa sentenza, per chi avrà modo di leggerla, parla chiaro: che loro lì, dentro quella casa, c’erano. E questo non lo dico io.
Lei dice loro? Sta usando il plurale.
Sto usando il plurale perché così è scritto dentro quella sentenza della Cassazione. (…) Credo che questa sia una cosa da chiarire e da far sapere: sono stato giudicato fino al terzo grado con l’accusa e con la condanna di aver concorso in omicidio e violenza sessuale. E la stessa sentenza che mi porta a condanna dice: che Rudy Guede non ha niente a che fare con l’arma del delitto, non è l’autore materiale del delitto, non ha ucciso lui Meredith. È scritto nero su bianco.
Perché è scappato? Lei mi ha detto che non avrebbero creduto a un povero negro. Cominciamo con dire, quando lei ha lasciato la casa di via della Pergola chi c’era in casa?
Quando io ho lasciato la casa non c’era nessuno, se non che la povera Meredith.
Altro punto, quando lei è fuggito, la porta di camera di Meredith era chiusa o era aperta?
Era aperta.
Ora vorrei che con la forza di un fermo immagine lei descrivesse la terribile scena che lei sostiene di avere lasciato. Ecco, nell’inferno di quel sangue, Rudy, lei Meredith come se la ricorda? Era spogliata, era vestita? La stanza era in ordine, era in disordine?
Meredith era vestita, indossava i suoi vestiti, i pantaloni di jeans, nella stessa maniera di quando eravamo entrati in casa.
(…) Come lei sa, Rudy, i giudici che l’hanno condannata purtroppo non hanno creduto alla descrizione da lei fornita e [sostengono] che lei, insieme a terze persone, abbia preso parte attiva alla violenza sessuale su Meredith. Anche se poi non è stato lei a vibrare la coltellata mortale, la scena era completamente diversa da quella da lei descritta. Quindi, Rudy, o c’era qualcuno in casa quando lei è fuggito, contrariamente da quanto lei ha detto, oppure qualcuno in quella casa è intervenuto successivamente. Qualcuno che però aveva interesse che la scena del crimine fosse alterata.
Una cosa è sicura, che io non c’ero.
Questo è sicuro. Oltretutto l’hanno vista ripetutamente in giro. (…) Intanto la porta della stanza di Meredith lei dice di averla lasciata aperta, invece era chiusa a chiave. Per entrarci nella stanza hanno dovuto sfondarla. (…) Ancora, contrariamente a quanto lei Rudy aveva dichiarato, la stanza di Meredith non era in ordine ma era in assoluto disordine. Lei ha detto l’ho lasciata in ordine. Il corpo di Meredith era supino. Aveva un cuscino sotto i glutei. Era coperta da un piumone chiaro che le lasciava intravedere solo il piede sinistro e parte del volto. Meredith non era vestita, come lei Rudy aveva dichiarato. Ma aveva indosso una doppia maglia imbrattata di sangue e arrotolata fin sotto il seno. Meredith praticamente era nuda. Una condizione, quella di Meredith, che lasciava ipotizzare un’aggressione a fini sessuali. Poi abbandonati sul pavimento della stanza c’erano i due asciugamani, che come lei ha sostenuto con gli inquirenti, e che in questo caso le hanno creduto, aveva adoperato nel tentativo di tamponare il sangue delle ferite di Meredith. (…) Allora, Rudy, chi sono gli altri?
Guardi dottoressa, la sentenza che riguarda la Knox e Sollecito sappiamo benissimo come è andata a finire. Però quella stessa sentenza dice che loro all’interno di quella casa c’erano. Dunque io penso che questa domanda, a questo punto, andrebbe rivolta a loro.
Comunque Rudy, chiunque sia stato, o siano stati, c’è una sentenza della magistratura e va rispettata.
Si rispetta, ma se si legge nel concreto quella sentenza, soprattutto al punto riferito ad Amanda Knox, i giudici dicono che lei era presente perché lo scrive su un diario, ella stessa lo dice e di conseguenza che il Sollecito non poteva non essere con lei. Dunque questo lo dicono i giudici, non lo dico io.
(…)
Comque va detto che Amanda Knox, nei suoi processi, il suo nome, Rudy, non l’ha mai fatto. Mai. (…) Comunque, tornando ai fatti, il 16 settembre del 2008 al tribunale di Perugia inizia il processo a suo carico. L’imputazione a suo carico e quella di avere lei partecipato attivamente, in complicità con Amanda Knox e con Raffaele Sollecito, all’aggressione a Meredith Kercher. Un’aggressione finalizzata a una violenza sessuale che per la disperata resistenza di Meredith si è poi conclusa in tragedia. Questa è l’accusa. Senta Rudy, questa sera con noi ha parlato liberamente. Va bene che allora aveva solo 22 anni, però lei è riuscito a farsi sentire, ascoltare da giudici come ha fatto stasera con noi?
Io c’ho provato, avevo venti anni, ho provato di spiegare, del motivo per cui ero in quella casa, cosa è successo, cosa ho visto, ma evidentemente non ci sono riuscito. Perché l’esito finale è che mi ritrovo a essere condannato in concorso con i cosiddetti autori materiali che stanno fuori.
“Che stanno fuori” è una responsabilità che si prende lei, perché per quella sentenza sono innocenti. (…) Comunque Rudy, malgrado il giudice di primo grado indichi in sentenza, leggo testuale, che lei “si sia accodato a un’iniziativa più o meno organizzata da altri piuttosto che averla elaborata in prima persona” e malgrado il giudice precisi: “si potrebbe del resto ipotizzare che Rudy Guede non sapesse nulla del coltello”, indicando quindi con chiarezza in sentenza che non è stato lei Rudy a sferrare a Meredith il colpo mortale, il 28 ottobre lei viene condannato alla pena dell’ergastolo, con la riduzione a trent’anni di reclusione solo per la scelta del rito abbreviato (…). Poi nel dicembre del 2009 la Corte di Assise le riduce la condanna da trenta a sedici anni di reclusione, uno sconto di pena dovuto al fatto che all’epoca lei Rudy era incensurato, dovuto soprattutto al presupposto che non era stato lei a impugnare il coltello. Il 16 dicembre del 2010 la Cassazione conferma. Dal momento che lei è l’unico a pagare per una sentenza e una condanna che ritiene ingiusta, visto che in Italia esiste un istituto che si chiama revisione del processo, alla luce di quanto detto pensa di ricorrevi?
 
Io penso che qualsiasi persona che lotta per la propria innocenza ricorra a occhi chiusi alla revisione processuale. Ci mancherebbe che me ne sto con le mani conserte e non colgo questa opportunità.

Nota: dopo la messa in onda dell’intervista, Raffaele Sollecito ha fatto sapere che sporgerà querela nei confronti di Rudy Guede. Intanto gli avvocati di Guede hanno rimesso il mandato.