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 2016  gennaio 23 Sabato calendario

Valeva la pena leggere cosa scriveva il Financial Times su Unicredit

In alcune occasioni, rarissime, l’autorevole Financial Times diventa davvero poco autorevole. O meglio così viene considerato dalla stampa italiana. Poco più di una settimana fa il quotidiano della finanza europea ha dedicato una pagina intera a Unicredit, la banca guidata da Federico Ghizzoni. Nessun quotidiano italiano ha ripreso una sola riga di quanto scritto dal foglio anglosassone. Pare che la giornalista, Rachel Sanderson, sia stata sulle tracce del suo servizio da agosto dell’anno scorso. Eppure già dal titolo c’era da fare un salto sulla sedia: Uncredit, «Troppo grande per prosperare?». E ancora: «I prossimi tre mesi saranno cruciali. Se porteranno dei risultati, tutto andrà bene. Altrimenti Ghizzoni diventerà presidente e si cercherà un nuovo amministratore delegato». Boom. Una bomba esplosa sui mercati finanziari, di cui però pubblicamente nessuno in Italia parla. Pubblicamente è ovvio. Nei salotti che contano non si discute d’altro.
L’articolo è molto lungo, argomentato e con dichiarazioni anonime che potrebbero mettere in imbarazzo l’attuale management. Non ci risulta che si stato smentito. Ecco perché conviene leggere bene cosa scrivono a Londra, per capire casa stia succedendo a Milano. Forse distratti dagli alti e bassi del settore bancario in Italia, preoccupati dal profondo rosso in cui è sprofondata Mps, si sottovaluta che sulla più importante banca italiana (seconda in Italia a Intesa Sanpaolo, ma decisamente più forte all’estero) si stanno consumando i veri giochi del nuovo risiko bancario.
Il Financial Times ricorda il piano industriale presentato a novembre, che dal management viene definito realistico. Gli investitori la penserebbero diversamente, tanto che dalla sua presentazione, nota maliziosamente la Sanderson, il titolo ha perso il 20 per cento. «Il nuovo grattacielo in cui si è trasferito il quartier generale della banca vorrebbe rappresentare il simbolo della ripresa economica italiana, ma la mancanza di profitti di Unicredit racconta piuttosto la fragilità della stessa». Vanno giù duri. E poi descrivono la storia della banca, il suo sviluppo internazionale con Alessandro Profumo, la concorrenza di Intesa, l’acquisto di Capitalia e l’arrivo nel 2010 di Ghizzoni. E poi i diversi aumenti di capitale per 15 miliardi di euro e le svalutazioni pari a 14 miliardi di molte delle banche comprate in giro per il mondo. Ma (viene citato un anonimo vicino all’attuale amministratore delegato) «Ghizzoni non può più addebitare a Profumo la cattiva situazione di oggi; ha avuto molto tempo per mettere a posto le cose». Un altro Boom. Ma come, si cita un manager Unicredit che attacca così frontalmente il suo boss? Noi che parliamo semplice dobbiamo pensare che in quel grattacielo sia in corso un bel casino. Ma non è finita, il pezzo, ripetiamo una pagina intera, si conclude con un altro colpaccio sempre attribuito a «persone vicine a Ghizzoni«e cioè che il boss della banca saprebbe che il suo piano industriale è ad alto rischio e che di conseguenza è sotto minaccia anche la sua poltrona. Ghizzoni avrebbe tre mesi di tempo e se non dovesse portare a casa risultati è fuori, o meglio diventa presidente.
Il silenzio su questo reportage della Sanderson è stato talmente assordante, che viene da pensare male. O meglio viene da chiedersi se l’unico errore che ha commesso la giornalista inglese riguardi i tempi. I famosi tre mesi. Il sospetto, suffragato da qualche fonte che più modestamente anche questa zuppetta ha, è che la corsa alla successione di Ghizzoni sia in pieno svolgimento.
Il Financial Times nota come lo spezzatino della banca sia una delle ipotesi meno gradite alla politica romana, nonostante qualche banca d’affari la stia prendendo in considerazione. Al contrario il progetto, anticipato dal Sole 24 Ore mesi fa, di una possibile fusione con Intesa è tutt’altro che peregrino nella volontà di alcuni esponenti dell’attuale governo. Ma le variabili sono ancora molte. Una di queste è come accasare Mps (Ubi? o la solita Intesa, che proprio non vuole?) che rappresenta il problema più immediato. Subito dopo, e ci si sta lavorando da tempo, si deve capire come cambiare, rafforzare la governance di Unicredit, considerando però il rischio di avere sul tavolo un castello di carte. Il nocciolino di azionisti italiani, sono di fatto minoranza nella banca e se toccano una carta (Ghizzoni) rischiano di far cadere l’intero castello. Il Financial Times citava come possibili successori di Ghizzoni, il solito Orcel (candidato negli ultimi dieci anni a tutto, tranne che a guidare una monoposto) e Giampiero Maioli. La partita è ancora tutta aperta. E palazzo Chigi la vuole giocare. I candidati alla successione di Ghizzoni, sono forse più vicini di quanto scrive la Sanderson.
Ps Anche sulle Generali girano voci di tutti i tipi. Riguardo al suo vertice, si intende. Qui il vero motivo per cui Mario Greco, potrebbe uscire di scena, per andare a guidare un gruppo concorrente, sarebbe invece da ricercarsi nei rapporti molto meno fluidi di un tempo con il suo azionista, Mediobanca e il suo amministratore Alberto Nagel. Diplomazie al lavoro per ricucire.