Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 23 Sabato calendario

Il grande attacco alle banche italiane, spiegato bene

Le banche italiane hanno vissuto una settimana di volatilità con pochi uguali nella storia recente. Gli istituti hanno pagato le false voci sulla solidità dei bilanci, in seguito opportunamente dissipate dal presidente Bce, Mario Draghi. Più in generale le banche del Paese sono apparse più deboli nella percezione dei mercati e degli osservatori, per quanto non ci fossero novità o ragioni di bilancio.
Il settore ha continuato a subire le conseguenze dell’instabilità generata da regole (su risoluzione, bail-in, aiuti di Stato, salvataggi, bad bank, vigilanza bancaria) che la Germania ha saputo imporre (guidata dal proprio interesse e non da quello dell’Eurozona nel complesso) e che i governi italiani non hanno saputo contrastare (indeboliti dalla crisi del debito sovrano, dalla recessione e dai vincoli di finanza pubblica).
Il risultato è che le banche italiane, nonostante accantonamenti e aumenti di capitale per decine di miliardi di euro, restano più vulnerabili agli umori dei mercati, sia quando ci sono cattive notizie sull’economia globale, sia quando si propagano percezioni errate sul loro stato di salute. Lo si era visto anche a fine novembre: la risoluzione di quattro piccole banche, che pesavano per l’1% del settore, ha messo in subbuglio anche il restante 99%.
Se si fosse applicato il modello di salvataggio italiano, basato sull’intervento del Fitd, le quattro crisi (come in passato) non si sarebbero neppure notate: invece il modello voluto da Germania e Paesi del Nord Europa (e accettato dall’Italia) ha imposto perdite anche agli obbligazionisti subordinati e ha mandato nel panico anche molti risparmiatori non coinvolti dall’operazione. Le difficoltà di alcuni piccoli istituti hanno avuto effetti sulla stabilità dell’intero settore.
Altre preoccupazioni sono nate a causa degli equivoci e dei ritardi sulla cosiddetta bad bank: la misura servirebbe per far aumentare il credito, non per salvare le banche, che non hanno bisogno di salvataggi, come hanno dimostrato l’asset quality review, lo stress test e gli Srep della Bce. Da ormai alcuni anni la questione della bad bank si è impantanata a Bruxelles, dove si fa sentire con forza la visione tedesca, applicata dal commissario danese alla Concorrenza, Margrethe Vestager. Dopo un sostegno alle banche domestiche per 250 miliardi, Berlino è riuscita a imporre nel 2013 un’interpretazione ultra-rigorosa in materia di aiuti di Stato.
La bad bank italiana è stata bloccata e le conseguenze si sono fatte sentire per il credito in Italia. Inoltre la lentezza delle decisioni di Bruxelles (niente affatto trasparenti nelle modalità, come si è visto anche riguardo allo stop all’intervento del Fitd nei salvataggi) fa sì che il tema rimanga per mesi al centro dell’attenzione di analisti e operatori. I fari così restano sempre puntati sui gruppi italiani. Passa invece in secondo piano la perdita annua da 6,7 miliardi annunciata da Deutsche Bank, a seguito di oneri straordinari per 12 miliardi, di cui quasi la metà legati ad accantonamenti a copertura di circa 6 mila contenziosi per manipolazione dei tassi interbancari, riciclaggio in Russia e altri scandali. Tutto ciò viene considerato alla stregua di un incidente di percorso: nessuno in Europa solleva perplessità sul settore bancario del Paese. Del resto non lo aveva fatto neppure la vigilanza guidata dalla francese Danièle Nouy e dalla tedesca Sabine Lautenschlaeger, che nel comprehensive assessment ha spulciato i rischi creditizi ed evidenziato un fabbisogno di capitale per Mps  e Carige, ma ha dimenticato quelli di Deutsche Bank e Hsh Nordbank (quest’ultima ha pure avuto poche settimane fa un ennesimo via libera da Vestager sull’ennesimo salvataggio dei suoi azionisti pubblici).
L’obiettivo principale di Berlino è evitare di essere coinvolta nei salvataggi di altri Paesi e delle loro banche. Per lo stesso motivo la cancelliera Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble spingono per una stretta regolamentare sui titoli di Stato posseduti dalle banche (e non sui rischi dell’attività finanziaria di istituti come Deutsche Bank) e si oppongono duramente alla creazione di una garanzia comune europea sui depositi, senza la quale non può esistere una vera Unione bancaria, come più volte ha ricordato anche Draghi. Ma, come già accaduto durante la crisi del debito sovrano, nessun progresso per l’Eurozona viene introdotto se a Berlino appare contrario al proprio interesse. Pazienza se poi i mercati si scatenano contro altri Paesi (come avvenuto prima dell’Omt e del Qe di Draghi) o contro le banche estere (tuttora prive di protezione).
In certe occasioni i mercati sono ben contenti di dimenticare la realtà e di cavalcare gli equivoci. Basta ripercorrere quanto avvenuto nell’ultima settimana. I cali sono partiti lunedì 18 gennaio, sulla base della confusione sulle conseguenze di un questionario qualitativo inviato a molte banche europee. Si sono diffuse voci su presunte nuove richieste di accantonamenti e capitale da parte della Bce. In borsa tuttavia le preoccupazioni si sono concentrate solo sulle banche italiane, percepite come più deboli delle altre. Si è guardato all’ammontare complessivo delle sofferenze, dimenticando coperture, garanzie e patrimonio oltre i requisiti Bce (fissati pochi giorni fa nelle procedure Srep). In borsa le flessioni sono andate avanti per tre giorni, dimezzando il valore di Mps, riducendo di un terzo quello di Carige  e colpendo in modo significativo anche gli altri istituti (vedere tabella a pagina 8). La percezione di debolezza è stata allontanata giovedì da Draghi che, intervenendo in modo inusuale su questioni di vigilanza al termine del Consiglio direttivo, ha assicurato che «nessuna nuova e inattesa richiesta di accantonamenti e capitale sarà fatta» e che «le banche italiane hanno un elevato ammontare di garanzie». Grazie alle precisazioni Bce, che hanno spazzato via i dubbi sugli istituti, Mps  è salita in un solo giorno del 43%, avvicinandosi ai livelli pre-bufera. Nella seduta successiva però il titolo ha continuato a sbandare: ha aperto con rialzi di oltre il 16%, poi in soli 40 minuti è arrivato a perdere fino al 7%, salvo poi chiudere di nuovo in rialzo del 2,7%.
Quanto all’ultima settimana, in molti resta il dubbio legittimo di un attacco all’Italia: «Non ci sono motivazioni recenti che spieghino questa eccessiva volatilità sui mercati, che è indotta da una speculazione che si muove come i corvi che vanno a cercare alimentazione. L’Italia poi è un mercato apertissimo», ha detto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. «Non escludo che prima qualcuno speculi al ribasso e poi qualcun altro, che sembri disgiunto sui mercati, arrivi a inghiottirsi il boccone preparato». La volatilità delle ultime sedute ha mostrato che le speculazioni sulle banche possono avere un peso importante se c’è uno spazio di manovra aperto da confusione e regole pericolose per la stabilità. In tal senso un cambiamento di scenario potrà derivare dagli sviluppi attesi per la prossima settimana in tema di bad bank, che si aggiungeranno all’intervento chiarificatore di Draghi.