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 2016  gennaio 23 Sabato calendario

L’inflazione a quota zero è un incubo per alcuni

Il sogno dell’inflazione a quota zero è diventato realtà. E alla fine – un po’ a sorpresa – si è rivelato un mezzo incubo. I prezzi in Italia sono cresciuti nel 2015 dello 0,1%, un miraggio per chi negli anni ’80 vedeva i suoi soldi svalutarsi del 20% l’anno. Nessuno però ha voglia di festeggiare. La spesa di tutti i giorni e le case costano meno, i tassi sui mutui sono a livelli da prefisso telefonico. Il gatto però alla fine rischia di mangiarsi la coda: i prezzi troppo bassi – segno di una domanda inferiore all’offerta stanno ingolfando l’economia. Famiglie e aziende ritardano gli investimenti. E lo spettro di una vita senza inflazione – costato al Giappone due decenni di crisi – ha costretto la Bce a una battaglia all’incontrario: inondare il mercato di liquidità per provare a farla risalire al 2% l’anno. Obiettivo: far uscire l’Europa dal limbo dei prezzi a crescita zero, una realtà dove le ombre sono molte più delle luci.
Sul fronte della spesa di tutti i giorni non ci sono dubbi: l’inflazione piatta è una manna: meno salgono i prezzi, meglio è. Se scendono, tanto di guadagnato. Vale al supermercato, alla pompa della benzina come all’Ikea. In un mondo dove l’inflazione viaggia al 20%, 100 euro a gennaio ne valgono 80 a dicembre. Nel 2015, invece, i nostri soldi hanno mantenuto il loro valore.
Il costo dei beni alimentari, per dire, è calato dello 0,4% a dicembre su novembre. Come dire che con la stessa cifra abbiamo potuto infilare nel carrello qualcosina in più. La benzina è l’esempio più eclatante di questa dinamica: le accise hanno limitato il calo del prezzo al 10% contro il -21% del costo industriale. Il primo gennaio però con 50 euro si compravano 33 litri di verde. A San Silvestro 36. E si sarebbe potuto ottenere di più se la benzina avesse seguito da vicino il prezzo del greggio. A questo proposito Matteo Renzi ha incaricato ieri il ministro Federica Guidi si fare “moral suasion” sui petrolieri per far scendere di più la verde.
A fregarsi le mani sono pure i titolari di mutui. I tassi dei prestiti sono agganciati a parametri come l’Euribor, legati a filo doppio con l’inflazione. E più bassi sono i prezzi, più basse sono le rate da pagare. Carta canta: su un prestito da 100mila euro a 20 anni (in base alle rilevazioni fatte ieri su un portale specializzato) il variabile viaggia oggi tra l’1,1% e l’1,3% annuo, il fisso tra il 2,1% e il 2,6%. Cifre da saldo che hanno fatto raddoppiare il numero di erogazioni nel 2015.
Tutti felici e tutti contenti dunque? Mica tanto. La vita a inflazione zero ha anche un’altra faccia della medaglia. Quella che preoccupa mercati e politica. I prezzi calano quando la domanda è bassa. E il rischio di una frenata dei consumi – abbinato magari a una discesa dei prezzi – è veleno nel cuore della ripresa.
Le aziende congelano investimenti e assunzioni e tagliano i costi (leggi gli stipendi dei loro dipendenti). In giro, insomma, ci sono meno soldi. E l’economia si avvita su se stessa. Il vero rischio è che si inneschi il circolo vizioso della deflazione: le imprese sforbiciano i prezzi per stimolare le vendite. E i consumatori, nella speranza di vederli scendere ancora, ritardano gli acquisti mettendo i soldi nel materasso. Un po’ come si fa quando si aspetta a comprare casa nell’attesa che le quotazioni calino. Sta già succedendo: nel 2015 gli italiani hanno parcheggiatoun bel po’ dei loro risparmi in liquidità, anche perchè i rendimenti dei titoli di Stato fino ai due anni di durata sono negativi. Come dire che ogni mille euro investiti oggi se ne incassano tra 24 mesi un po’ di meno. Non proprio un affare.
A pagare un pedaggio salato, paradossalmente, è anche l’Italia. L’inflazione bassa, è vero, ha tagliato il costo del debito pubblico. Il tasso medio pagato l’anno scorso è stato dello 0,7% contro l’1,35% del 2014: in 12 mesi il Tesoro ha sborsato 75 miliardi di interessi, 5 in meno dell’anno prima. Non tutto è oro però quello che luccica. L’aumento dei prezzi in realtà è un toccasana per chi ha tanti debiti: il valore reale dell’esposizione grazie all’inflazione – si erode. Cosa che non succede con prezzi fermi. Non solo: in un’Europa dove il tasso di virtù di un paese è fotografato dal rapporto tra debito e Pil, la frenata dell’economia è come una bomba ad orologeria tra i paletti di Maastricht. Va disinnescata. E la Bce, non a caso, è già corsa ai ripari mettendo sul piatto un quantitative easing da migliaia di miliardi per salvare l’Italia e l’Europa dal sogno-incubo dell’inflazione zero.