La Stampa, 23 gennaio 2016
La multinazionale che aveva clonato fabbriche e sito di Prada
Un’impresa globale, con la produzione in Cina, una delle menti in Francia, filiali e server sparsi tra Olanda e Inghilterra. Una multinazionale organizzata in ogni dettaglio, con una vetrina web trafficatissima e un sistema di pagamenti sicuro al 100 per 100 cento, che sfornava e vendeva abbigliamento e accessori con il logo Prada, in tutto il mondo. La più famosa delle griffe italiane, però, non c’entrava nulla.
È una maxi-fabbrica dei cloni, quella scoperchiata ieri dalla Guardia di Finanza di Pordenone. «Un enorme bidone», per dirla con il comandante delle Fiamme Gialle Fulvio Bernabei, che teme «un fenomeno colossale. Il giro d’affari? Per il momento non è quantificabile perché il rapporto era diretto tra venditore e acquirente».
I precedenti
L’ultimo schiaffo al made in Italy, il più clamoroso, è però soltanto la punta dell’iceberg: perché a finire nella rete dei falsi cinesi, negli anni, sono stati marchi notissimi, da Ferrero a Moncler passando per Zegna, Harmont & Blaine e Ariston Thermo. Molti alla fine di un lungo braccio di ferro giudiziario sono riusciti a vincere la battaglia. Tutti, però, hanno visto sfumare una bella fetta di ricavi. Quanti? Secondo i calcoli di Censis e ministero dello Sviluppo economico il mercato dei «tarocchi», solo nel nostro Paese, ha un fatturato di 6,5 miliardi l’anno. Colpisce soprattutto l’abbigliamento e gli accessori per 2,2 miliardi, il comparto cd, dvd e software per 1,8 miliardi e i prodotti alimentari per poco più di un miliardo di euro.
Gli sconti sospetti
In questo caso i falsari avevano fatto un passo ulteriore, organizzandosi alla grande: sito Internet di qualità rintracciabile all’indirizzo borsepradamilano.it, prezzi ribassati sul livello degli outlet con ulteriori sconti del 5-10%, spedizioni affidate ai big della logistica. Perfino gli investigatori, per avere la certezza di essere di fronte ad un clone, hanno dovuto affidarsi agli esperti di Prada. «Gli acquirenti non erano assolutamente consapevoli di comprare capi contraffatti», dice Bernabei. Almeno finché non venivano recapitati a casa delle centinaia di clienti truffati a partire dal dicembre del 2014.
I sospetti sulla tassa
L’inchiesta è partita dopo alcune denunce presentate dai consumatori, che si sono insospettiti quando è stato chiesto loro il pagamento della tassa doganale. Per evitare ulteriori danni alla griffe italiana le Fiamme Gialle hanno ottenuto dall’autorità giudiziaria il sequestro e l’oscuramento del sito. Ora sono in corso le rogatorie internazionali per chiudere definitivamente il cerchio intorno alla rete criminale del falso. Un fenomeno che a livello internazionale vale 200 miliardi e picchia forte soprattutto sul nostro Paese, primo in Europa per quantità di merce sequestrata. Nel giro di cinque anni le forze dell’ordine hanno intercettato 334,5 milioni di pezzi contraffatti. Merci che se fossero state prodotte e vendute legalmente, calcola la Coldiretti, avrebbero garantito 105mila posti di lavoro in più.