Corriere della Sera, 22 gennaio 2016
Yves Piaget, il signore degli orologi che ha costruito la San Pietro d’Africa
«Sono stato uno challenger, un uomo che ama i progetti». Dire sfidante non è abbastanza per monsieur Piaget, classe 1942, nato in un paese a 1.200 metri nel Giura svizzero, frequentatore del jet set, fotografato con Jacqueline Kennedy, Liza Minnelli («una grande amica»), Elizabeth Taylor («i media mi hanno pure “sposato” in più occasioni: con la first lady indonesiana, alcune vedette del cinema o con la principessa Soraya», racconta con ironia, «all’epoca sapevo di essere sotto i riflettori, ho fatto del mio meglio per non sovraespormi»), amico della banda di Sammy Davis e di Charles Aznavour, di «famiglia» con Alberto di Monaco. Il taglio della capigliatura bianca e le giacche alla coreana, di lino, merinos o velluto con risvolti a righe multicolori («ne ho fatte fare diverse da Brioni», risponde compiaciuto al complimento sullo stile), rigorose e fuori ordinanza anche nelle occasioni formali, rispecchiano lo spirito non convenzionale e l’attenzione al pregio della manifattura. «Molti chiamano quest’attenzione “eccellenza”, io preferisco il motto di mio bisnonno: fare meglio, più del necessario. Dovrebbe essere l’ambizione di tutti. E, sforzandomi di fare più bene del necessario, ho vissuto una vita incredibilmente ricca di incontri ed esperienze». Il lusso, in cui è cresciuto professionalmente, e la terra e le tradizioni, cioè la montagna e il rigore protestante, sono i mondi in cui ha vissuto la sua sfida da ingegnere e uomo di passioni che si mette in gioco con spirito imprenditoriale a ogni incontro interessante.
Dagli hotel alle rose
Yves G. Piaget si è occupato (vale a dire ha investito o ricoperto cariche presidenziali) di hotellerie, turismo e sistemi di risalita, di Formula 1, di elicotteri, di premi e competizioni ippiche, di allevamento della razza equina svizzera, di arte, di rose e roseti e pure di musica. «Ho prodotto un disco di Michel Leeb, un talento folle, la sua voce crooner interagiva perfettamente con la big band di Count Basie», racconta rispolverando le cene a Los Angeles dal discografico Eddie Barclay o dal comico-cantante-ballerino Sammy Davis, dove passavano Johnny Holliday, Bing Crosby, Quincy Jones. E non una sola impresa discografica. «Ho prodotto Anche Hugues Aufray: ha vinto un disco d’oro. Abbiamo molti punti in comune, dalla filosofia per la pace ai cavalli: a 80 anni cavalcava ancora».
Una vita come un opale sfaccettato di cristalli, ricco di contrasti, per usare un’immagine che ben s’accorda con la seconda laurea al Gemological Institute di Los Angeles, autorità mondiale nella classificazione e valutazione dei diamanti. Mentre diventava consigliere di Houohoet-Boigny, il primo presidente della Costa d’Avorio indipendente, o entrava nel consiglio d’amministrazione e poi socio con alcune branche della Tag (Techniques d’avant-guarde) di Akram Ojjeh (azionista e sponsor di MacLaren e Williams), monsieur Piaget ha lavorato sodo diventando l’incarnazione del marchio di orologeria fondato dal bis-bisnonno nel 1874.
«Volevo dare respiro internazionale al nome di famiglia, ma anche mostrare che dietro a quel brand c’erano uomini, artigiani, competenze diverse e raffinate. Ci sono riuscito, viaggiando per più di quarant’anni».
Il sogno della diplomazia
«Avevamo i direttori vendite, ma un Piaget che si spostava nel mondo dava una rappresentazione personalizzata della maison. Ed erano gli stessi clienti che volevano poi ascoltare le novità delle collezioni da un Piaget. Non da un altro. E così, dal 1974, ho fatto marketing senza averlo studiato. Forse era quella carriera da diplomatico che avrei voluto seguire quando ero al liceo».
«Diplomatico» lo è stato nell’ affaire della costruzione di una basilica sul modello di San Pietro a Yamoussukro, voluta dal presidente Houohoet-Boigny. «Un forte simbolo cristiano nel cuore della Costa d’Avorio per arginare estremismi e integralismi. Non fu compreso da molti. Gli dicevo: presidente, non si vendono molto bene le basiliche. E lui: la basilica non è un orologio, non si può vendere. Per comprenderci gli spiegavo che era iniziata l’era del marketing e della comunicazione, fenomeno sempre più determinante, nell’evoluzione mondiale. Anche in politica. Un’avventura straordinaria, con le mappe che studiavamo solo nei suoi appartamenti privati. E quando Giovanni Paolo II è venuto a posare la prima pietra, nel 1987, eravamo solo due bianchi: il papa e Piaget».
Due ex mogli, due figli, alcuni nipoti... «In fabbrica, stringevo la mano a ogni collaboratore, conoscevo le loro famiglie, ma ero poco a casa. Il primo matrimonio è saltato subito dopo la nascita dei ragazzi. E con i nipoti ci vediamo solo alle grandi feste. Forse è l’unico rimpianto». Poco tempo per i rimpianti, nonostante la maison, di cui è ancora presidente onorario, sia passata al gruppo Richemont, monsieur deve ancora correre ai suoi impegni.
Sul sellino di una Vespa
Rigoroso e trasgressivo, anche sulle Vespe su cui gira con la compagna attuale, un’italiana. Ognuno sulla propria. Una storia che dura da 13 anni e che le cronache rosa si limitano a citare con un educato «avec madame Isabelle Campisi». Lasciamo perdere il jet set. «Ho ereditato la formula di mio padre “quando lasci la scena, lascia il tuo gessato in camerino, indossa i tuoi abiti per ritornare a casa e ritrovare il tuo ambiente"». E i suoi ambienti sono il Roseto Principessa Grace, 4 ettari rubati al mare a Fontvieille, sul litorale del Principato. «C’è chi fa yoga: io vengo qui al mattino a leggere il giornale», dice monsieur così profondamente innamorato delle rose che, nell‘85, gli è stata dedicata la Yves Piaget, ibrida a 80 petali dentellati, aria retrò, color rosa neyron pallido e profumo di rosa di maggio. Oppure il suo ambiente sono le passeggiate e le partite a carte con Godi, scultore, ebanista, piastrellista, spazzacamino («un maestro della montagna») con cui ha restaurato l’Orsire (la tana), lo chalet dove ritrova le sue risorse, sulle cime, sopra Villars-Gryon.