La Stampa, 22 gennaio 2016
«Nessuno tocchi Caino» è un bel motto, ma cosa significa, «E di Abele fate quel che volete»?
Ogni crimine orrendo ha qualche particolare crudele (basta uno solo) che funziona come un gancio: si attacca alla nostra memoria e non si stacca più. Ogni volta che la cronaca ripresenta alla nostra attenzione quel crimine, è quel particolare che si presenta per primo. Da quel particolare riconosciamo il tutto.
Adesso la cronaca ci ripresenta Maso, il parricida-matricida di Montecchia, in provincia di Verona. Maso è appena stato iscritto nel registro degli indagati per «tentata estorsione», ai danni di una persona. La denuncia proviene dalle sorelle. Leggiamo il suo nome, e subito ci ricordiamo la lugubre impresa per la quale è, diciamo così, immortale. Ognuno di voi penserà a quando ha pestato i genitori, aiutato da tre amici, col crick dell’auto e pentole da cucina, finché quelli non hanno smesso di respirare. Qualcuno di voi penserà che i quattro ragazzi erano mascherati, in modo che i genitori non capissero chi li voleva morti, e perché dovevano morire. Ma no, non è qui il clou del parricidio-matricidio di Maso, il vertice del male che lui ha fatto, e dal quale aspettavamo che si redimesse, dal quale, non condannandolo all’ergastolo, i giudici han ritenuto che poteva redimersi, e dal quale, mandandolo libero, han stabilito che si è redento. Quel vertice del male sta nel fatto che l’operazione del parricidio-matricidio fu, per i quattro ragazzi, insopportabilmente lunga e faticosa.
Fu estenuante: dopo un quarto d’ora che picchiavano sulle teste dei due vecchi, uno dei quattro si fermò per tirar fiato, guardò i compagni ed esclamò: «Ma non muoiono mai?». Non provava, non provavano una reazione sentimentale o emotiva (ma cosa stiamo facendo!, ma quanto sangue!), ma una reazione razionale: che resistenza stupefacente! A uno così, che ha ammazzato padre e madre a colpi di crick e di pentole, faticando tanto da doversi fermare a prender fiato, han risparmiato l’ergastolo, han pensato che trent’anni e due mesi bastavano. Adesso ha 44 anni, metà li ha passati in prigione, è fuori perché «ha espiato» e dunque «è redento», è un Caino ma «nessuno tocchi Caino». Il parricidio e il matricidio, presi uno alla volta, e tanto più se presi insieme, sono un abisso senza fondo: se uno vi precipita dentro, devi domandarti se potrà mai risalire. Con i quattro ragazzi di Montecchia quel grido, «Ma non muoiono mai!», complica la vicenda: è come se l’avessero voluta prima di cominciarla, e ri-voluta a metà dell’opera. «Maso è un uomo pre-morale, non ha valori» scrissero in tanti allora. Anch’io, su questo giornale. Gianfranco Bettin dedicò all’impresa un libro, «L’erede», e ci rimproverò: «Sbagliate, lui ha dei valori fortissimi, e in testa a tutti sta la Bmw nera, l’aveva ordinata, era arrivata, doveva ritirarla e pagarla».
Maso segna un record, è unico, ma se la questione la mettiamo così (valgono di più padre e madre o una BMW?), non è più tanto solo. Lui ha applicato un principio: tutto è denaro. Un principio non ignoto alla nostra epoca. Adesso è libero, è fuori, e le due sorelle lo accusano di «tentata estorsione» perché han saputo di sue richieste di denaro a un’altra persona, con toni violenti. Non ne sappiamo di più. Le sorelle dicono che han visto in lui il tono psicologico di quando si preparava a uccidere i genitori. Hanno paura. E si capisce. Ma è redento, quest’uomo? Ha capito qual era il falso dio per il quale viveva, il denaro, se ne è liberato o ne è ancora schiavo? È stato giusto liberarlo così presto? È stato saggio risparmiargli l’ergastolo?
«Nessuno tocchi Caino» è un bel motto, ma cosa significa, «E di Abele fate quel che volete»?