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 2016  gennaio 21 Giovedì calendario

Ettore Messina, un Churchill per il basket italiano

«Lacrime, sudore e sangue»: non ci sarebbe bisogno di prometterle. Non mancano in nessuna alba quotidiana, gli ingredienti della dolorosa ricetta di Winston Churchill, che Ettore Messina, per sentirsi in prima linea anche solo con un’impresa di sport, ha evocato ieri, rimettendosi l’elmetto da generale. L’Italia dei giganti nani non va alle Olimpiadi da dodici anni, lui è stato chiamato per riportarcela. Avrà meno di un mese per riuscirci, fra preparazione di corsa e torneo preolimpico di Torino, ai primi di luglio, e il primo passo l’ha fatto ieri, (ri)presentandosi al Foro Italico, fra un volo d’andata e uno di ritorno a San Antonio, Texas. Il suo lavoro oggi è là, assistente allenatore degli Spurs nella Nba. Qui presterà servizio civile. Pure gratuito, ha sottolineato il presidente della federbasket Gianni Petrucci, come riconoscente anomalia di un luminare che esercitava in Europa per ben oltre una milionata a stagione. Se tutto andrà bene, ossia l’Italia da Torino vedrà Rio, si siederanno a scrivere un contratto. Se andrà male, avanti un altro. I campi sono pieni di Cincinnati inutili alla patria e ritornati alla zappa.
«Sono piu emozionato oggi di 23 anni fa», ha detto Messina, non mentendo: il tempo e i suoi schiaffi rendono l’anima vulnerabile anche ai predestinati. Perche questa, a 56 anni, è la parte seconda della sua vita azzurra. La prima gli fu data a 34, fresco di scudetto a Bologna e molto sicuro d’essere un (giovane) uomo della Provvidenza. Andò male subito, fuori dalle prime otto agli Europei ‘93 in Germania. Ando bene poi, anzi sempre meglio: quinti ad Atene ‘95, secondi a Barcellona ‘97, l’Italia era rifatta, quando Messina decise di tornare a fare l’allenatore vero, nei club. Il lascito fu la squadra in piena spinta propulsiva che Tanjevic issò poi all’oro di Parigi ‘99.
Stavolta è lui a rientrare in campo da erede. Al gruppo di Simone Pianigiani avrà poco da aggiungere: la fioritura del giardino nazionale non va molto oltre i 15 o 16 uomini utili da cui trarre una squadra. Capo giocatore, come da storica etichetta di Tanjevic, sarà Danilo Gallinari, che avanza a larghe falcate a stabilizzarsi fra i primi 25-30 della Nba. Pure dagli States Messina attingerà Belinelli e Bargnani (se sta bene di salute, il che capita di rado). Sommerà con piacere, per quanto stanno facendo bene, i tre italiani d’Europa: il “greco” Hackett, probabile regista titolare, il “turco” Datome, il “tedesco” Melli. E finendo nell’orto di guerra autarchico, pregherà che i muscoli smettano di tormentare Gentile, il più forte di ciò che resta di un campionato drasticamente impoverito, preleverà da Milano Cinciarini, da Avellino Cervi, da Cremona Cusin e Vitali e dal miglior giacimento tricolore, Reggio Emilia, i piu utili a completare gli assetti, fra Aradori, Della Valle, De Nicolao, Polonara e l’altro Gentile, Stefano.
Questo mazzo era già per qualcuno, alla vigilia dell’ultimo Europeo finito a bocca amara, solo sesti, «la nazionale più forte di sempre». Smentita l’imprudente dicitura dal risultato finale, l’additivo immesso ora è quello di miglior qualità. Se era l’allenatore la gamba zoppa di Azzurra, questo ha, per passato e presente, storia e statura svettanti. Non c’è di meglio di Messina per riveder le stelle. Se toppa lui, la notte sarà ancora più nera.