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 2016  gennaio 21 Giovedì calendario

Mps e Garige, si stava meglio quando si stava peggio?

La tempesta pressoché perfetta che si sta abbattendo sui mercati finanziari internazionali e che ha il suo epicentro a Piazza Affari, come se fosse un attacco pilotato, sta demolendo, giorno dopo giorno, il valore di due storici istituti bancari, Mps e Carige, uno dei quali, quello di Siena, è pure il più antico del mondo, essendo stato fondato nel 1472.
Un tracollo che è partito all’indomani dell’approvazione del decreto salva-banche (domenica 22 novembre 2015) e che sta assumendo ora contorni preoccupanti. Da quel giorno i titoli di Mps e Carige hanno perso rispettivamente il 64,8 e il 57,7% bruciando così 2,76 miliardi e 726 milioni di capitalizzazione. Un danno enorme, non solo per la stabilità degli stessi istituti ma soprattutto per la loro credibilità su scala globale e, se si vuole, anche per chi ha creduto e investito, aderendo in particolare agli ultimi aumenti di capitale lanciati a metà dello scorso anno. Osservando il solo andamento di borsa -visto che il management delle banche ha già più volte ribadito la solidità dei progetti- non si può notare che quella che un tempo non tanto lontano era ritenuta la zavorra allo sviluppo e alla contendibilità in borsa, ovvero il controllo di fatto delle due fondazioni locali di riferimento, oggi si sta rivelando un vero e proprio boomerang.
Pensare che ci sono voluti anni per far cadere il castello dell’arrocco enti-banche. E proprio Mps e Carige sono stati gli ultimi due esempi in questo senso, visto che le fondazioni hanno resistito a lungo, a Genova più ancora che a Siena, insistendo sulla strategicità della partecipazione in portafoglio e dello strettissimo rapporto con il territorio e il tessuto imprenditoriale locale. Provocatoriamente, come prassi di questa rubrica, si può quindi dire che si stava meglio quando si stava peggio. O quanto meno porsi il dubbio, visto ciò che sta accadendo. Perché la garanzia rappresentata fino a poco più di due anni fa di avere un azionista solido alle spalle, seppure ingessato, dava maggior fiducia. Poi la decisione, corretta, di scardinare questo sistema arcaico di controllo ha portato, complice la crisi post-Lehman, a rivedere questo assioma. E così se a Siena la Fondazione dominava la scena, nonostante la lenta e inesorabile discesa dal 66% del giugno 2002 al 55,5% del giugno del 2009, al 48,1% del giugno 2011 fino al 33,5% di fine 2013, a Genova l’ente di riferimento passava dal 60% del 2000 al 43,37% di metà 207 per poi risalire al 49,43% del 2012. Erano altri tempi, certo, ma oggi, con le due Fondazioni che sono di fatto sparite dall’azionariato (l’ente Mps è all’1,5%, quello di Carige sotto il 2%), i titoli delle due banche, che pochi mesi fa hanno lanciato due ricapitalizzazioni -Siena da 3 miliardi e Genova da 850 milioni- sono oggetto di speculazioni quotidiane difficilmente controllabili o gestibili. E così, come in ogni mercato finanziario libero che si rispetti, si è soggetti alla volatilità e al sentiment degli investitori. E da inizio gennaio, data di applicazione del bail-in, sull’Italia soffia un vento gelido che sta spazzando via le certezze nella piccola città toscana e nel capoluogo ligure. Cosa che fino a pochi anni fa non succedeva.