Libero, 21 gennaio 2016
La prima sentenza sui marò arriverà solo nel 2018
Nientemeno che un incubo, perché non si può definire con altre parole la lunghissima agonia che stanno vivendo i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Che i tempi dell’arbitrato internazionale non sarebbero stati brevi si sapeva, ma che si dovesse attendere addirittura l’agosto del 2018 per capire quale sarà la loro sorte, in pochi davvero se lo immaginavano. Ieri il tribunale internazionale dell’Aja ha reso noto il calendario delle udienze, fissato durante la prima riunione procedurale. Secondo quanto si legge, il 16 settembre 2016 l’Italia dovrà presentare una memoria scritta con la proprio esposizione dei fatti e le richieste da avanzare al tribunale, mentre la scadenza fissata per l’India, che dovrà fare la stessa cosa, è il 31 marzo 2017. Ci sarà poi una nuova scadenza: la replica italiana del 28 luglio 2017, mentre quella indiana è fissata per il 1 dicembre dello stesso anno. Qualora l’India presenti obiezioni di ammissibilità o giurisdizione, Roma avrà l’opportunità di una contro replica il 2 febbraio 2018. A quel punto passeranno sei mesi prima della sentenza, che sarà emessa nell’agosto di quell’anno, benché lo stesso tribunale si riservi, in caso di necessità, di poter allungare i tempi. Nel frattempo, in attesa di tutto questo, i prossimi 30 e 31 marzo si deciderà sulla richiesta italiana di poter far rientrare Girone in Italia. Insomma, i tempi biblici non sono solo quelli indiani, ma anche quelli internazionali.
Appresa la notizia, il segretario della Lega Nord Matteo Salvini non ha usato mezze misure: «Questa è l’ennesima dimostrazione del fatto che con Monti, Letta e Renzi l’Italia non conta assolutamente niente, anche a livello internazionale. Noi faremo il contrario». Sulla stessa linea il deputato di Forza Italia Elio Vito: «Se l’arbitrato lo avessimo iniziato prima ora sarebbe già concluso». Insomma, colpa dei tre governi che si sono succeduti in questi quattro anni, secondo i politici. «Ciò che mi chiedo – spiega Luigi Di Stefano, perito che da anni si occupa del caso – è come sia possibile che il tribunale dell’Aja si prenda due anni per decidere. I giudici non si devono inventare una giurisprudenza già codificata e scritta da decine di anni (il diritto del mare). Peraltro, in questo specifico caso non esiste capo d’accusa, per cui con questi tempi si arriverà prima al 2018, poi, se fosse stabilito che il processo dovesse tenersi a New Delhi, passerebbero altri quattro o cinque anni che si andrebbero a sommare a quella sorta di carcerazione preventiva e ingiusta che Latorre e Girone hanno già dovuto scontare». La soluzione? Per Di Stefano è semplice: «L’Italia si imponga e inizi a gridare a gran voce ciò che ha detto senza mezzi termini proprio Elio Vito al question time in commissione Difesa: i marò sono innocenti». Questione di polso, insomma. Quello che finora l’Italia ha mostrato di non avere. A tutto questo e allo sconforto delle famiglie dei due marò, che si sono chiuse in un comprensibile silenzio, si aggiunge il fatto che non si capisce il perché l’Italia non abbia ancora chiesto al tribunale internazionale di elevare sanzioni all’India per non aver rispettato i dettami del tribunale del diritto del mare di Amburgo di cessare qualsiasi iniziativa legale connessa con il caso. La Corte indiana, pur non avendone giurisdizione, ha infatti rimandato al 30 aprile l’udienza per l’esame del permesso di soggiorno in Italia per motivi di malattia di Latorre. Forse non molti sanno che in quel periodo, in Kerala, ci saranno di nuovo le elezioni e, allora, il governatore di quello Stato, Oommen Chandy, ricomincerà con la solita propaganda elettorale che si basa sull’accusa ai marò. Insomma, una storia già scritta di una vergogna infinita.